Girolamo Imbruglia affronta il tema dell'“Utopia” come “momento centrale della storia della secolarizzazione politica” e non “intesa come il genere più o meno letterario iniziato da Tommaso Moro”. E parte da Girolamo Savonarola per poi descrivere “le idee che costituiscono il fulcro della storia politica dell'utopia”. La prima è la religione civile, che legittima il potere politico attraverso una dimensione sacra, poi la comunità dei beni quale soluzione capace di creare e mantenere la piena concordia tra i cittadini, quindi una rigorosa amministrazione della “police”. La “paradossalità dell'utopismo”, secondo l'autore, è “che apparve al momento della scomparsa dell'impero e si trovò a essere parte del moderno nuovo Stato nazionale, che però criticava perché senza universalità di valori”. Il saggio vuole quindi mettere in evidenza come si sia abbandonata la fondazione della tradizione “e si sia posta a fondamento dell'utopia la sovranità”.
Nell'intreccio tra religione civile, police e comunità dei beni emerge “il potere spirituale”, attraverso l'idea che non solo il controllo dei costumi morali potesse essere esercitato dall'alto ma che fosse necessario un “controllo circolare impersonale, orizzontale di tutti su tutti”. In tal modo “l'utopia fuoriuscì dalla Politica di Aristotele” per presentare una realtà politica perfetta, mai sperimentata e mai pensata in cui non è però difficile scorgere i contorni del suo opposto, cioè di quei regimi che oggi chiamiamo distopici. Imbruglia evidenzia infatti opportunamente come il desiderio di felicità si intrecci con quello di libertà: “Identificare l'utopia con la sicurezza sociale prodotta dalla Police fu un'idea che non durò a lungo” e si giunge al terzo momento della ricostruzione, l'utopia dell'illuminismo, che rende ben chiaro come lo scivolamento dal migliore dei mondi possibili al totalitarismo o alla violenza sistematica sia frequente.
Il libro passa attraverso diverse esperienze intellettuali e sociali, dal millenarismo della “Città del Sole” alle missioni gesuite del Paraguay, da Locke e lo “stato senza imperfezioni” a libertà ed eguaglianza nel “Contratto sociale” di Rousseau. Non meno articolato il percorso compiuto ne “La necessità degli apocalittici” da Geminello Alvi, secondo cui “Quella dell'Apocalisse è realtà che sovverte tempo e spazio. Incarna un esperimento travolgente”. Studioso del testo giovanneo, il più enigmatico delle Scritture, l'autore ne lascia l'interpretazione agli apocalittici, alle loro idee ed esistenze (che sono il “commento dell'Apocalisse migliore di ogni altro mai scritto”), a partire dal mistero che circonda il suo autore e la sua lingua.
Il viaggio prende le mosse dal rinascere della gnosi cristiana tra Otto e Novecento, quando “l'economia si vuole ormai teologia”, citando eruditi, santi, ma anche cultori di geometria, mineralogia, ebraico, greco, aramaico, astronomia, retorica, fisiologia. Fra i tanti Pierre Teilhard de Chardin, Albert Schweitzer, Urs von Balthasar, Rudolf Steiner, H.G. Wells sono solo alcune delle figure interpellate. L'opera è l'esito di una ricerca decennale, legata alle radici dell'Occidente “di cui l'Apocalisse è un incubo disvelatore. Mister Hyde di Stevenson, il Leviatano di Hobbes, Marx o Hitler, i gas o le trincee della guerra mondiale, non sarebbero mai esistiti senza”.
titolo: Utopia
categoria: Saggi
autore/i: Imbruglia Girolamo
editore: Carocci
pagine: 200
prezzo: € 19.00