In questo ambito, il termine 'antropomorfo' non va pertanto inteso come legato all'aspetto strettamente fisico, “ma piuttosto a quello comportamentale”, prosegue il ricercatore. “La tendenza è verso la creazione di robot con comportamenti che riproducano quelli umani, anche se le sembianze non sono strettamente simili alle nostre. Per esempio, quando dobbiamo decidere se sia preferibile caratterizzarli in modo più maschile o più femminile si pensa ai comportamenti che caratterizzano i due sessi, non alle fattezze. Personalmente, peraltro, ritengo che questa classificazione riconduca a uno stereotipo che la società sta tentando di superare, seppure con enormi difficoltà”.
Va considerato poi l'ambito degli assistenti vocali. “In questo settore, invece, va fatta una distinzione tra voci incarnate e voci disincarnate, ossia quelle che riconducono ad agenti conversazionali – questo il nome tecnico delle macchine con meccanismi vocali - senza fisicità e quelle che appartengono ai robot comunemente intesi. Alcuni studi mostrano che per gli agenti conversazionali che hanno una fisicità le voci maschili sono maggiormente apprezzate, mentre quelle femminili sono preferite per quelli senza fisicità”; conclude Maniscalco. “Il problema però è complesso, ogni applicazione richiede studi specifici. Spesso alcuni utenti, divisi per classi di età, genere, etc., vengono coinvolti proprio per capire quali aspetti sono accettati e quali invece incontrano resistenza”.
Fonte: Umberto Maniscalco, Human-Robot Interaction Group dell’Istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni , email umberto.maniscalco@icar.cnr.it -