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Energia da rinnovabili: a che punto siamo?

Pale eoliche
di Alessia Famengo

Sebbene il fotovoltaico, l’eolico e l’idroelettrico siano ormai tecnologie mature e con costi competitivi, la transizione energetica, ovvero il passaggio alle fonti rinnovabili di energia, è ancora critico, specie per alcuni settori, come i trasporti su lunga distanza, l’industria pesante e le costruzioni. Tra le soluzioni attualmente studiate, l’uso dell’idrogeno verde come vettore energetico e il recupero di calori dispersi. A fornirci uno sguardo d’insieme sul tema è Giovanna Canu, dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia del Cnr

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La produzione di energia elettrica attraverso le tecnologie fotovoltaica, idroelettrica ed eolica è, ormai da anni, al centro delle strategie per la diminuzione delle emissioni serra, verso una maggiore sostenibilità dei sistemi energetici. Come riporta l’International Energy Agency (Iea), la capacità di generare energia attraverso le rinnovabili è cresciuta rapidamente negli ultimi anni, soprattutto per il fotovoltaico e l’eolico, grazie anche alle politiche di supporto che hanno inciso sulla riduzione dei costi.

Secondo i dati del rapporto Iea “Renewables 2024”, nel 2023 la Cina ha prodotto circa 1/3 dell’energia elettrica rinnovabile sul totale globale, seguita da Ue e Usa. È previsto un incremento continuo nella generazione elettrica da rinnovabili, fino a circa il 45% della produzione totale nel 2030, trainato sempre dalla Cina con il fotovoltaico, l’idroelettrico e l’eolico in testa. Il contributo delle altre fonti rinnovabili come il geotermico, il solare a concentrazione e le biomasse rimane pressoché invariato rispetto al 2023, attestandosi leggermente al di sotto del 3%.

La domanda globale di energia elettrica sta aumentando per la progressiva elettrificazione del sistema energetico, trainata dal passaggio graduale alla mobilità elettrica, l’utilizzo intensivo di sistemi di riscaldamento/raffreddamento, lo sviluppo crescente di data center e dell’Intelligenza Artificiale. Tuttavia, l’energia elettrica costituisce solo un quinto del consumo globale di energia: i settori dei trasporti e delle costruzioni e i processi industriali energivori impattano in maniera significativa sulla domanda energetica, per cui è necessario aumentare il contributo delle rinnovabili in questi comparti. Attualmente, il contributo più importante nei trasporti è dato dai biocombustibili per i mezzi da strada, contando per quasi il 90% della crescita registrata per il trasporto rinnovabile nel periodo 2016-2023 (Iea Renewables 2024). Una crescita destinata a rallentare nei prossimi 6 anni, coerentemente con l’aumento dei veicoli elettrici, dell’utilizzo dei biocombustibili nel settore marittimo e nell’aviazione, dell’idrogeno verde e degli e-fuels. In particolare, queste ultime due categorie sono attualmente studiate per quei settori difficilmente elettrificabili (mezzi aerei e nautici), a oggi fortemente dipendenti dalle fonti fossili.

“L’idrogeno è ampiamente riconosciuto come un ‘abilitatore’ della transizione energetica, dal momento che può immagazzinare energia proveniente da fonti rinnovabili e può essere usato come combustibile”, spiega Giovanna Canu, ricercatrice dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia (Icmate) del Cnr. “Può essere di diversi ‘colori’, a seconda delle fonti da cui è ricavato - grigio da gas naturale, nero o marrone da carbone - e rappresenta la maggior parte dell’idrogeno attualmente prodotto. A emissioni zero è solo quello verde, prodotto attraverso il processo di elettrolisi dell’acqua, cioè il processo per cui l’acqua viene scissa nei suoi elementi costitutivi - idrogeno e ossigeno -, utilizzando energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili.

Energia idroelettrica

Gli elettrolizzatori attualmente in commercio sono di due tipi: alcalini (Alkaline Water Electrolysis-Awe), che utilizzano soluzioni alcaline come elettroliti e sono la tecnologia a oggi più matura per la produzione su larga scala, e a membrana a scambio protonico (Polymer Exchange Membrane-Pem), che utilizzano un film di membrana ultrasottile per il trasporto dei protoni. Una terza tecnologia in fase di studio è l’elettrolisi a ossido solido (Solid Oxide Electrolysis, Soe), operativa alle alte temperature (800-1000 °C)”.

La strategia attualmente considerata per la produzione di idrogeno verde è quella di connettere l’elettrolizzatore alla rete del fotovoltaico o eolico, fonti rinnovabili ma per loro natura discontinue e variabili, per cui risulta complesso modificare la quantità programmata di energia in rete. In questo caso, la produzione di idrogeno permetterebbe anche di bilanciare la rete elettrica. Inoltre, sono allo studio prototipi in grado sia di generare idrogeno che di produrre potenza, in maniera reversibile. A parte i costi, cosa limita attualmente l’impiego dell’idrogeno?  “Il costo in termini energetici delle tecnologie per lo stoccaggio e il trasporto di questo gas è elevato per un suo utilizzo come vettore energetico”, chiarisce la ricercatrice.

Trasformare l’idrogeno in ammoniaca o metanolo, o immagazzinarlo su forma di composti chimici in grado di rilasciarlo in maniera reversibile sono tra le vie considerate per semplificare i processi di trasporto, specialmente sulle lunghe distanze. Perché, dunque, l’idrogeno viene considerato un vettore altamente versatile? “L’idrogeno verde può essere utilizzato in filiere diversificate: come commodity nell’industria chimica e dell’acciaio, trasformato in combustibili di sintesi o come combustibile nelle celle a combustibile per l’alimentazione dei veicoli elettrici, con l’obiettivo di estendere la mobilità elettrica al trasporto pesante e di lunga percorrenza”, afferma Canu.

Circa il 40% delle emissioni di CO2 nel settore energetico è dovuto alla generazione di calore, responsabile di quasi la metà del consumo finale di energia (dati Iea 2023). A trainare i consumi è il calore di processo nelle produzioni industriali, attualmente dipendenti dalle fonti fossili, soprattutto per le alte temperature, ad esempio nella produzione del cemento, nell’industria siderurgica, nella produzione di materiali ceramici. “L’uso di fonti rinnovabili si innesta in un più generale processo di decarbonizzazione, che può essere affrontato in più modi. L’industria ceramica, ad esempio, contribuisce significativamente alle emissioni di CO2, per via delle alte temperature - dell’ordine dei 1000 °C - richieste per la produzione, in forni che tipicamente utilizzano gas naturale per produrre calore”, precisa l’esperta.

Sebbene negli anni i produttori di ceramiche e vetri si siano impegnati nel ridurre consumi e costi, il recupero del calore “dispersi” è tra le strategie più promettenti per diminuire consumi ed emissioni nei processi produttivi. “È possibile, infatti, agire sull’efficienza del processo: a titolo di esempio, l’utilizzo del calore dei gas di combustione può essere impiegato per preriscaldare l’aria di combustione, e attraverso la modellizzazione dei profili termici dei forni ad alta temperatura è possibile ottimizzare il processo, allo scopo di ridurre i consumi. Un’efficace riduzione delle emissioni di CO2 può essere poi raggiunta con l’utilizzo di forni elettrici anziché a metano, che utilizzino fonti rinnovabili per la produzione dell’energia”, conclude Canu.

Fonte: Giovanna Canu, Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia, giovanna.canu@rcnr.it