Focus: Terra

Alla ricerca di una vita extraterrestre

Universo
di Beatrice Rapisarda

La Terra, con la sua straordinaria diversità e complessità, è da sempre al centro di studi che cercano di svelare i misteri dell’origine e dell’evoluzione della vita. Le crescenti crisi climatiche e il continuo impatto delle attività umane stanno mettendo in luce la fragilità del nostro habitat, spingendo istituzioni pubbliche e investitori privati a guardare altrove, verso la ricerca di pianeti abitabili. Ma per trovare la vita altrove, dobbiamo prima comprendere come sia nata qui e quali siano i suoi limiti. Ne abbiamo parlato con Beatrice Cobucci Ponzano dell'Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr

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Nel 2023, la capsula della missione Nasa Osiris Rex ci ha portato campioni prelevati da Bennu, un asteroide primordiale formatosi tra 700 milioni e 2 miliardi di anni fa, che conserva al suo interno tracce intatte della chimica dei primi giorni del sistema solare. A differenza delle rocce terrestri, i materiali di Bennu non hanno subito l’erosione atmosferica e rappresentano quindi una testimonianza unica dei processi prebiotici che hanno dato origine alle prime molecole organiche e, in ultima analisi, alla nascita della vita sulla Terra. Le analisi hanno rivelato la presenza di composti ricchi di carbonio e minerali contenenti molecole d’acqua. Questi ritrovamenti si aggiungono a quelli delle sonde Curiosity e Perseverance su Marte, che hanno individuato tracce d’acqua, e alle analisi di meteoriti come quella caduta a Murchison, in Australia, nel 1969, dove sono stati identificati aminoacidi e nucleobasi. “Tutti questi elementi sono fondamentali per la vita come la conosciamo: gli aminoacidi formano le proteine, e le nucleobasi sono i componenti essenziali del Dna e dell’Rna che contengono le istruzioni per la vita”, spiega Beatrice Cobucci Ponzano, ricercatrice dell’Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Consiglio nazionale delle ricerche.

Queste scoperte ci riportano a una domanda fondamentale: come si è originata la vita sulla Terra? Per rispondere a questa domanda, gli scienziati teorizzano l'esistenza di un microrganismo chiamato Luca (Last Universal Common Ancestor), da cui si sarebbe evoluta tutta la vita terrestre, circa quattro miliardi di anni fa. “Lo studio del Luca è molto importante non solo per comprendere come si sia originata la vita sulla Terra, ma anche per avere indizi sulla possibilità della presenza di vita su altri pianeti al di fuori del nostro. Questo perché gli ambienti in cui presumibilmente viveva Luca erano camini idrotermali, solfatare, ambienti che tutt’oggi sono presenti in alcune lune che si trovano nel nostro sistema solare, per esempio la Luna di Giove, Europa, e la Luna di Saturno Encelado”, chiarisce la ricercatrice.

Ricercatori e scienziati si sono messi sulle tracce di questi organismi primordiali partendo dagli habitat meno ospitali della Terra: ghiacci polari, vulcani, geyser. Per rispondere alle domande legate all'origine della vita è infatti fondamentale comprendere i “limiti della vita”, studiando organismi che prosperano in condizioni estreme. “Gli organismi estremofili sono cruciali nel definire questi confini e l'isolamento di batteri ed archaea che vivono in ambienti considerati estremi da un punto di vista antropocentrico ha ridefinito la nostra comprensione dei limiti dell’abitabilità”, spiega Corbucci Ponzano. “Gli archaea estremofili sono microrganismi straordinari, che vivono in condizioni estreme: da temperature gelide di -20°C fino a oltre 100°C nelle bocche idrotermali, da pressioni abissali nel mare profondo a laghi salati con pochissima acqua disponibile. L’aspetto più interessante è che questi microrganismi non solo tollerano condizioni proibitive per la maggior parte degli esseri viventi, ma ne dipendono per la loro sopravvivenza. Studiarli è fondamentale per capire come si è evoluta la vita sulla Terra e quali possibilità ci siano di trovarne traccia su altri pianeti”.

Solfatara

Solfatara

In Italia, gli studi si concentrano su ambienti come la caldera dei Campi Flegrei e la solfatara di Pisciarelli ad Agnano, nell’area metropolitana di Napoli, dove batteri e archaea prosperano in condizioni estreme, caratterizzate da temperature oltre gli 85°C, pH acido e altissime concentrazioni di zolfo e arsenico. “Tali habitat, che richiamano le condizioni della Terra primordiale, offrono un laboratorio naturale per studiare i limiti dell’abitabilità e i meccanismi di adattamento degli organismi. Questi ambienti, considerati analoghi a quelli che potremmo incontrare su altri corpi celesti, ci aiutano a comprendere come si è sviluppata la vita. Grazie anche alla metagenomica, lo studio del materiale genetico campionato direttamente in situ, è possibile identificare nuovi organismi viventi in ambienti estremi senza la necessità di coltivarli in laboratorio e di analizzare i meccanismi che permettono a questi organismi di sopravvivere in condizioni così estreme”, sottolinea l’esperta.

Al Cnr-Ibbr, la ricerca su questi organismi si concentra anche sulla genetica molecolare. Un aspetto particolarmente affascinante riguarda la traduzione del codice genetico, il processo con cui le cellule producono proteine. Normalmente, questa fase segue regole precise, ma anche negli archaea estremofili sono stati scoperti meccanismi di recoding, in cui il ribosoma “sbaglia” intenzionalmente la lettura del codice genetico per produrre proteine diverse. “Questa flessibilità nella traduzione del codice genetico potrebbe essere stata selezionata dall’evoluzione per permettere la sopravvivenza in ambienti estremi”, precisa la ricercatrice.

L’esplorazione spaziale non rappresenta solo un tentativo di trovare una “seconda Terra”, ma una strategia integrata per comprendere i processi che hanno modellato il nostro passato e che possono indicare il futuro della vita in ambienti estremi. La sinergia tra ricerche geochimiche, biologiche e spaziali ha rafforzato l’ipotesi che, se la vita ha potuto svilupparsi in condizioni estreme sulla Terra, esistono buone ragioni per ritenere che essa possa emergere anche in ambienti analoghi presenti in altre parti del sistema solare.

La ricerca sull’origine della vita e sulla possibilità di una vita extraterrestre richiede una collaborazione internazionale. “Il Cnr-Ibbr lavora con enti di ricerca di tutto il mondo, condividendo informazioni e risorse per affrontare sfide che non sono più locali ma globali. Molte agenzie spaziali, tra cui l’Agenzia spaziale italiana, finanziano progetti per lo studio di ambienti estremi e degli organismi che vi abitano, utilizzandoli come analoghi terrestri di pianeti extraterrestri”, evidenzia Cobucci Ponzano, che conclude dicendo: “La ricerca di vita extraterrestre e lo studio sull’origine della vita terrestre viaggiano sullo stesso binario, offrendo prospettive affascinanti per il futuro dell’umanità. Ma, mentre rivolgiamo lo sguardo alle stelle per comprendere i segreti della vita, è importante ricordare che la Terra rimane la nostra unica casa, un fragile ecosistema che dobbiamo proteggere e preservare anche mentre esploriamo le possibilità oltre i suoi confini”.

Fonte: Beatrice Cobucci Ponzano, Istituto di bioscienze e biorisorse, beatrice.corbucciponzano@ibbr.cnr.it

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