La seconda vita dei materiali edili
Il riciclo e il riuso dei materiali da costruzione è una delle azioni necessarie per conseguire l’ambizioso obiettivo del Green Deal Europeo. Una delle strategie attualmente sotto la lente della ricerca scientifica è il recupero dei rifiuti dalle demolizioni degli edifici, studiando anche alternative al cemento, prodotto attraverso processi energivori e con alte emissioni di CO2. Matteo Panizza del Cnr-Icmate spiega vantaggi e limiti del loro utilizzo
Il settore delle costruzioni è tra le forze trainanti per l’economia europea, contribuendo a circa il 9% del Pil e producendo 18 milioni di posti di lavoro. Un comparto, dunque, che crea occupazione e guida la crescita economica, sul quale la Commissione Europea sta lavorando molto in termini di riduzione dell’impatto climalterante, puntando a una migliore efficienza energetica degli edifici residenziali e industriali e all’ottimizzazione, secondo i principi dell’economia circolare, dell’intero processo, dalla progettazione alla demolizione degli edifici. In particolare, la produzione di materiali da costruzione come il calcestruzzo, vive, con oltre 3 tonnellate pro capite all’anno, è basata su processi ad elevata “carbon footprint” e alto impatto ambientale. Infatti, comporta consistenti emissioni di CO₂ per via dei processi di cottura a elevate temperature (1.450°C circa) di calcari e argille, mentre gli aggregati (o inerti) tipo sabbia e ghiaino, mescolati al cemento, provengono da fonti naturali esauribili, con conseguente progressivo depauperamento del suolo.
Una delle strategie che consente di perseguire gli obiettivi messi nero su bianco dallo European Green Deal è basata sul riciclo e sul riuso dei rifiuti da costruzione e demolizione, in gergo Cdw (Construction and Demolition Waste), costituiti principalmente da elementi di origine minerale come calcestruzzo, laterizi, piastrelle e materiali ceramici, e da una serie di componenti minoritari, tipicamente legno, vetro, plastiche e materiali isolanti, materiali bituminosi e catrame. “Questo flusso di rifiuti è ritenuto prioritario dalla Comunità Europea, sia per le grandi quantità generate, sia per le elevate potenzialità per il riciclo e il riuso, come riportato dalla Direttiva n. 98 del 2008”, spiega Matteo Panizza dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia (Icmate) del Cnr.
Buona parte dei rifiuti prodotti in Europa, proviene proprio dal settore delle costruzioni, nel 2018 la quota è stata pari a circa il 36%, su un totale complessivo di poco superiore a 2.300 milioni di tonnellate (fonte Eurostat). “Nonostante l’obiettivo comunitario di riciclo e riuso dei Cdw non pericolosi fosse pari al 70% in peso entro il 2020, e considerato che materiali quali legno e metalli già da molto tempo sono inseriti in percorsi virtuosi di valorizzazione, il grosso dei Cdw (si stima circa il 60-70% del totale in Europa) è costituito da calcestruzzo, per lo più utilizzato nei sottofondi stradali o conferito in discarica”, continua il ricercatore.
Ciononostante, i Cdw possono essere ulteriormente valorizzati, come dimostra il loro utilizzo quali aggregati in diverse formulazioni di calcestruzzi. “Studi recenti hanno dimostrato la possibilità di ottenere calcestruzzi formulati con aggregati riciclati (Rac) di proprietà comparabili a quelle delle formulazioni standard, a patto di operare un’attenta scelta fra le diverse tipologie di Cdw esistenti e un’ottimizzazione dei parametri di sintesi, a partire dal mescolamento tra riciclati e nuova matrice cementizia”, chiarisce Panizza. “L’utilizzo dei Rac è fondamentalmente limitato dalla loro maggiore influenza sulla lavorabilità e sulle proprietà meccaniche rispetto ai calcestruzzi ottenuti con aggregati vergini, e dal basso costo di questi ultimi. Un altro aspetto sfavorevole è, la ridotta resistenza chimica degli aggregati da Cdw verso la carbonatazione e il degrado da cloruri e solfati. Per questi motivi, la normativa tecnica italiana per le costruzioni consente prudenzialmente l’uso di Rac provenienti da demolizioni di solo calcestruzzo o calcestruzzo armato e soltanto come aggregati grossi, assimilabili a ghiaia e ghiaino. Inoltre, possono essere utilizzati in proporzioni prestabilite e relative alla classe di resistenza”.
Una delle strade per il riciclo dei Cdw nei materiali da costruzione consiste nell’utilizzare leganti diversi dalle classiche matrici a base di cemento. Una classe interessante di composti inorganici alternativi è costituita dai geopolimeri (Gp), derivanti dall’attivazione alcalina di alluminosilicati amorfi prodotti come scorie industriali (scorie di altoforno, ceneri da combustione del carbone) o ricavati da materiali rocciosi con un alto contenuto di kaolinite. “Le proprietà meccaniche comparabili con materiali a base di cemento e la maggiore versatilità nella combinazione con diversi tipi di Cdw, sia come aggregati sia come componenti parzialmente reattivi, rendono i Gp adatti a un utilizzo come materiali da costruzione” spiega il ricercatore del Cnr-Icmate. “I geopolimeri sono stabili chimicamente e molto resistenti alle alte temperature. Si stima inoltre che, rispetto al cemento Portland, comportino riduzioni del 40-60% dell’energia richiesta per la loro produzione, e fino all’80% dell’emissione di CO₂”.
I Gp sono stati ampiamente indagati nel corso del progetto Horizon 2020 InnoWEE-Innovative prefabricated components including different waste construction materials reducing building energy and minimising environmental impacts”, coordinato dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr con la partecipazione dell’Icmate e dell’Istituto per le tecnologie della costruzione del Cnr, che ha avuto come obiettivo principale lo sviluppo di pannelli prefabbricati isolanti per le facciate e radianti per i soffitti di edifici, costituiti da matrici a base di geopolimeri che inglobano esclusivamente aggregati ottenuti dal riciclo di calcestruzzo, laterizi, malta e legno”, aggiune Panizza.
Tuttavia la normativa italiana, come pure quella di molti altri Paesi, ancora non permette di utilizzare i geopolimeri nei materiali da costruzione a causa della mancanza di standard e norme di prodotto che ne consentano la certificazione per l’uso previsto. La ricerca scientifica si sta muovendo in tale senso al fine di promuovere e dimostrare le prestazioni di questa classe di materiali sotto tutti i necessari aspetti, quali la durabilità e il comportamento a lungo termine.
Fonte: Matteo Panizza, Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia, e-mail: matteo.panizza@cnr.it