Saggi

Paura e libertà

società
di Marco Ferrazzoli

 Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi, nel loro “La società chiusa in casa” (Marsilio), esprimono una posizione decisamente critica verso il paradigma per cui, in pandemia, il sacrificio dei diritti è stato imposto da superiori interessi di sicurezza sanitaria. Uno scetticismo mosso da “una speranza illuministica un po' fuori moda”. Il libro sottopone il lettore a provocazioni stimolanti, talvolta choccanti

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Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi nel loro “La società chiusa in casa” (Marsilio) esprimono, con apprezzabile coraggio intellettuale, una posizione decisamente critica verso il condiviso paradigma per cui, in pandemia, il sacrificio delle libertà è stato reso necessario da superiori interessi di sicurezza sanitaria. Lo scetticismo verso questo assioma, in genere, è ascritto a posizioni ideologicamente estreme, anti-scientiste, irrazionalistiche o eccessivamente emotive. Gli autori, invece, afferiscono a una weltanschauung decisamente razionalista, fautrice di scienza, ricerca, innovazione, progresso quali fondamenti culturali, sociali ed economici di quell'occidente e di quella modernità che hanno assicurato all'essere umano le migliori condizioni di benessere della storia. Un'appartenenza che, per usare le loro espressioni, possiamo definire illuminista e liberale, tanto che il saggio viene definito come professione di “una speranza illuministica un po' fuori moda”.

Secondo Corbellini e Mingardi sarebbe invece il sistema istituzionale e scientifico ad avere ceduto a un'analisi frettolosa, incompleta, confusa della pandemia. Ad aver dispiegato contro Sars-CoV-2 “un misto singolare di misure prescientifiche e scientifiche” come le quarantene, il distanziamento e le mascherine, anziché usare massivamente gli strumenti diagnostici. Ad avere tributato ad autorità ed esperti un affidamento quasi fossero “stregoni” officianti “autentici riti collettivi”, riducendo a slogan frasi quali “lo dice la scienza” o “lo dicono i dati”. Ad aver abusato delle metafore “con scarso senso critico” e ceduto a quell'“overconfidence” di cui già parlava Tommaso d'Aquino nella “Summa contra Gentiles”, definendo la presunzione come la “madre dell'errore”. Addirittura, “lo sfondo teorico dei ragionamenti prevalenti” somiglierebbe “alla pseudoscienza e al pensiero magico” e gli stessi vaccini sarebbero “un'estensione del pensiero magico”, avvertono gli autori: “L'unico virus umano che siamo riusciti a eradicare davvero” è stato il vaiolo, che però “aveva caratteristiche particolari”. Al vaccino quale “bene comune”, peraltro, gli autori preferiscono la definizione di “un'invenzione brevettabile”.

La pandemia ci avrebbe “dimostrato quanto è fragile” la “società aperta” per la quale, sin dal titolo, il saggio dichiara la propria preoccupazione. La società statuita da Karl Popper, nella quale “i singoli sono chiamati a prendere decisioni personali”, poiché “la razionalità è sempre nelle scelte individuali, le società o le comunità non hanno un cervello”. Dopo che per cinquant'anni “la retorica politica ha sviluppato un lessico” fondato su parole quali “diritti” e “libertà”, abbiamo abdicato? Siamo passati alla chiusura “in regime di autarchia” e in noi stessi, tradendo i principi di Benjamin Constant, che chiamava la “libertà dei moderni” come la “libertà di potersi muovere”? Abbiamo accettato un modello imposto dalla paura, che ha portato a una rinuncia inefficace nel perseguire l'obiettivo sanitario che si prefigge? Una paura esagerata, visto che: “Ciascuno di noi ha continuato a trovare per tutta la durata del lockdown non solo lo yogurt al supermercato, ma lo yogurt della marca e del gusto preferiti”?

Il libro sottopone il lettore a provocazioni stimolanti, talvolta choccanti. È denso di concetti, spunti, idee, informazioni, dati, citazioni, in misura tale da rendere impraticabile una sintesi. Ricordiamo a titolo di esempio le riflessioni sul significato etimologico di parassiti, in sostanza traducibile come “commensali”; o sulla differenza fra “buon senso” e “senso comune”, per la quale basterebbe tornare ad Alessandro Manzoni (“Promessi sposi”, capitolo trentaduesimo). Oppure l'avvertenza che “siamo una specie avversa al rischio e ne abbiamo una percezione distorta” e che anche Kant e Rousseau furono “fortemente contrari alla pratica” vaccinale, considerandola “rischiosa e innaturale”. Altre considerazioni appaiono meno condivisibili. L'“analogia ben nota fra il mercato e la scienza moderna” ci pare per esempio disattesa di frequente, si pensi alla tendenza al ribasso che condiziona domanda e offerta nella formazione. Così come il dato per cui “è più probabile che gli scettici verso le vaccinazioni” abbiano “sviluppato una spiccata sensibilità per un'idea intuitiva di libertà – nella forma di diritti individuali – e che siano meno deferenti verso il potere”: nella variegata massa che va dagli scettici ai cosiddetti no-vax emerge con chiarezza anche l'ottusa passività verso complottismi di banalità sconcertante.

Del resto “La società chiusa in casa”, all'insegna dell'onestà di cui si diceva, ripete più volte l'ammissione di non essere esente da imperfezioni e contraddizioni. Forse proprio questo è il punto del libro più interessante. Tutto ciò che possiamo dire e contraddire sulla pandemia deriva in qualche modo da una pretesa intellettuale, anzi da una presunzione: affrontare la complessità addomesticandola in un modello, una teoria, cercando in una parola di semplificarla. L'identità dell'essere umano oggi residente nella parte più fortunata del pianeta sta invece nella continua rimessa in discussione delle proprie certezze, nella consapevolezza che ogni risultato raggiunto sarà superato, in un pragmatismo e un'adattabilità che vanno parametrati alle dimensioni della problematica da affrontare. Poiché la Covid-19 si connota come fenomeno “globale” in divenire perenne, volerla rinchiudere in schemi rigidi, localistici, dogmatici, imperituri, è una contraddizione in termini che rischiamo di pagare cara. Se così è, però, non possiamo lamentare “i limiti di un atteggiamento che sembra simile a quello di chi procede in auto lungo una strada di montagna guardando solo nello specchietto retrovisore”, come fa il saggio, poiché questa è l'unica possibilità che abbiamo.

L'invito a “ricostruire un po' di libertà dopo la paura per evitare di continuare a essere una società chiusa in casa” è condivisibile. Con cautela, poiché preoccupano sia certe tensioni sociali, sia le proposizioni di ottimismo fideistico. I segnali che giungono dal Sars-Cov-2, dopo due anni, sono ancora tanto cangianti da imporre prudenza e una riflessione autocritica. A livello istituzionale come scientifico, civico come mediatico, l'assunzione di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti appare l'unica strada praticabile per uscire dal tunnel. E da casa.

titolo: La società chiusa in casa
categoria: Saggi
autore/i: Corbellini Gilberto, Mingardi Alberto
editore: Marsilio
pagine: 330
prezzo: € 15.00

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