Saggi

L’indagine nella scienza

Copertina libro La scienza di Sherlock Holmes
di Alice Sarnelli

Mark Brake, affermato divulgatore scientifico e membro fondatore dell’Astrobiology Institute Science Communication Group della Nasa, nel libro “La scienza di Sherlock Holmes” (Apogeo), ricostruisce e analizza i temi scientifici che gravitano intorno al successo di questo famoso investigatore, creato più di un secolo e mezzo fa da Arthur Conan Doyle e ancora oggi tra i personaggi fittizi più amati al mondo

Pubblicato il

Mark Brake, come in altri suoi lavori, traccia un itinerario ben definito all’interno di un grande mondo letterario, questa volta illustrando il complesso mondo narrativo Sherlockiano. “La scienza di Sherlock Holmes”, edito da Apogeo, è una precisa ricostruzione di come le tecniche investigative del personaggio creato da Arthur Conan Doyle si radichino profondamente nella scienza e nel razionalismo del tempo. “Questo è il motivo per cui Sherlock ha ottenuto un successo così grande. [...] personificava lo spirito del tempo. Il desiderio di credere nell’onnipotenza della scienza in un’era che era stata completamente trasformata dall’affascinante ma inquietante rivoluzione industriale”.

Il più noto detective inglese è stato in grado di conquistare i cuori dei lettori dell’epoca, tanto che “i ‘fan’ di Sherlock facevano la fila alle edicole ogni volta che sapevano che un numero di The Strand avrebbe incluso una nuova storia su di lui”, rendendo la fama di Conan Doyle quasi al pari di quella della regina Vittoria. Questa connessione che lega il lettore al personaggio si è evoluta, facendo di Sherlock Holmes il pioniere, nonché fondatore, della moderna concezione di fandom.

Brake vuole far comprendere quali sono gli elementi di quella formula perfetta che ha portato Sherlock a un tale successo, ripercorrendoli uno a uno nel corso dei capitoli. Tra questi, l'analisi della dualità di un personaggio che oscilla tra genio e autodistruzione: “il suo problema di dipendenza dalle droghe lo trasforma in un antieroe molto potente, perché da un lato contribuisce alla sua forza, ma dall’altro lo rende anche vulnerabile. Sociopatico. Scientifico. Geniale”.

Non è solo questo, secondo Brake, a decretare il successo dell’opera, perché l’analisi si spinge, tra i molti aspetti, anche nel confine sociale della Londra vittoriana, “una città di luce e ombra”, in cui “la stessa Londra rappresentava una forza primordiale che permetteva agli istinti più bassi dell’essere umano di esprimersi liberamente”, con quartieri che ospitavano “stanze non più grandi di due metri e mezzo per due metri e mezzo”. Nel brulicare caotico e incessante di anime, la criminalità fiorisce, in contrapposizione al progresso industriale e scientifico dell’epoca.

Ma non è tutto: il lavoro analizza anche altri aspetti. Per primo il metodo deduttivo, tramite la spiegazione del funzionamento del diamante della deduzione, “un metodo utilizzato per esaminare la narrativa, così come altri esempi dell’arte e della storia, che vi offre una formula affidabile e riutilizzabile per giungere a conclusioni fondate su determinate opere”. Il metodo, consistente nell’esaminare effetti, tecniche, contesto e significato di un determinato testo, permette a Brake e a Sherlock di creare deduzioni equilibrate e ben calibrate ricavate dall’analisi precisa e fattuale dell’evento esterno a partire dalle quattro estremità del diamante.

Tra le materie toccate da Holmes e analizzate da Brake c’è anche la chimica, che in quel periodo storico stava iniziando a divenire una scienza. “L’epoca vittoriana in cui è vissuto il nostro Sherlock, ha visto grandi progressi nel campo della chimica. In un secolo e mezzo, tra il 1650 e il 1799, sono stati scoperti ventidue elementi. Nel diciannovesimo secolo ne sono stati scoperti venticinque solo tra il 1800 e il 1849”, è l’albore della tavola periodica e della chimica organica, anche se “si sapeva molto poco dei composti negli organi delle piante e degli animali”. Il processo scientifico non vive solo nella Londra in cui Doyle scrive, ma anche nello stesso Holmes, che è un abile scienziato, e infatti il suo celebre collaboratore Watson, in “Uno studio in rosso”, “ha sentito supporre che la ricerca chimica di Sherlock riguardasse i coloranti sintetici”, mettendo in luce i suoi studi chimici.

All’interno del suo mondo fittizio, il detective ha approfondito il tema delle impronte digitali, con lavori “pubblicati sulle riviste di antropologia. In realtà, Galton è stato l’autore più prolifico di questi testi e trovava sospetti i metodi di Sherlock. Poco dopo la pubblicazione di ‘L’avventura del costruttore di Norwood’, Galton ha scritto a Conan Doyle usando un tono alquanto pedante. Gli ha chiesto come fosse possibile che lo stampo di cera di un sigillo lasciasse un’impronta digitale decifrabile e insanguinata su un muro”, ed è una domanda a cui, presumibilmente, Doyle non ha mai risposto.

Grazie a una narrazione avvincente e convincente, l’autore riesce a mantenere l’attenzione anche di chi di scienza non ne sa molto, rendendo i contenuti comprensibili e mai banali. Uno Sherlock inedito, non solo un’icona della narrativa poliziesca, ma anche un simbolo del pensiero razionale e della metodologia scientifica di quei tempi, “l’unica caratteristica innegabile del fascino e della popolarità continua di Sherlock è il suo uso frequente e ostentato della scienza e del metodo scientifico”.

Titolo: La scienza di Sherlock Holmes
Categoria: Saggi
Autore: Mark Brake
Editore: Apogeo
Pagine: 208
Prezzo: 19.00

Tematiche
Argomenti