Com’è bella la città. Dei 15 minuti
La Nuvola nel quartiere Eur di Roma, uno degli edifici più famosi riassume bene le caratteristiche comuni delle opere di Massimiliano Fuksas: dalla sostenibilità ambientale alla combinazione di geometrie semplici e complesse, fino all’utilizzo di nuovi materiali. "Ne servono sempre di nuovi e per questo è necessario investire nella ricerca" spiega. È uno degli architetti più famosi del mondo, ma non chiamatelo archistar!
Massimiliano Fuksas, romano di origine lituana, classe 1944, è uno dei più famosi architetti. Nelle sue opere, spesso caratterizzate da geometrie complesse, ritroviamo la passione per la fisica e per la teoria del caos, assieme a una particolare sensibilità ambientale: tra i punti fermi dei suoi progetti il risparmio energetico, che ricerca anche attraverso l’uso di materiali innovativi. Tra le opere più importanti, la Nuvola a Roma, la sala da concerti Zenith a Strasburgo e l’aeroporto di Shenzhen (Cina).
Case prigioni, durante la pandemia. Case uffici, con lo smart-working. Come sta cambiando il concetto di abitazione?
Le carenze sono due: di flessibilità e di social housing. Non è stato impostato alcun piano di edilizia sociale da decenni, praticamente dall'epoca di Amintore Fanfani, 1946-’47, e nel frattempo sono intervenuti tanti fattori, si è registrata una profonda evoluzione. Con la pandemia, ci siamo accorti che le nostre case sono troppo rigide, ovvero non danno la possibilità di organizzare zone flessibili, destinate a più scopi. Le case che vanno bene per una o due persone, magari anziane, non sono adatte al cambiamento che è avvenuto durante il lockdown, improvvisamente ce ne siamo resi conto. La casa oggi ha bisogno di uno spazio supplementare, in comune, per tutti coloro che la abitano e che vi possono svolgere attività differenti. Spazi che andrebbero creati non solo nelle singole abitazioni ma anche nei condomini, favorendo lo scambio di esperienze tra diverse generazioni, ad esempio sulle competenze digitali.
Lavoro agile, reti, tecnologia e intelligenza artificiale, ma anche il turismo di prossimità, possono aiutare a rivalutare i piccoli borghi a rischio spopolamento e abbandono?
L’Italia è un Paese estremamente arretrato, che ancora non si è dotata di un sistema di comunicazione avanzato. Si continua a parlare di una transizione digitale che non è avvenuta, che è prevista nel futuro, al momento non sappiamo ancora nemmeno bene cosa sia. Per ora, soffriamo anzi la difficoltà di avere una connessione efficiente in molte aree del Paese. Pensi specialmente ai piccoli centri completamente abbandonati o abitati da pochissime persone, nelle aree montagnose appenniniche o alpine e nel Meridione. Questo è estremamente grave. La gran parte degli italiani vive in aree urbane, la salubrità del territorio è estremamente sottovalutata rispetto alle opportunità di lavoro o di crescita sociale. Per quanto riguarda il turismo, non si può pensare di usarlo come strumento per risolvere le questioni economiche, è un rimedio a cui si ricorre quando un Paese è arretrato. In Grecia ci sono 28 milioni di turisti su 11 di abitanti, il turismo fa vivere il Paese. Questo però vuol dire che l’economia non è sviluppata. Non voglio dire che il turismo non sia importante, è una cosa bellissima, ma non si deve considerarlo come la base dell’economia. Può essere una componente, non una soluzione.
Le popolazioni però si concentrano nelle megalopoli anche a livello internazionale, soprattutto nei Paesi emergenti e in via di sviluppo
Il fenomeno non si verifica solo nei Paesi emergenti, pensiamo a Roma, che conta circa 3 milioni di abitanti su una popolazione di 58 milioni. La popolazione italiana è calata solo nello scorso anno di circa 250 mila unità. Questo andamento continua da decenni e soltanto da qualche tempo, finalmente, si comincia a capire l’importanza della demografia, che è una scienza “quasi” esatta. Ne parlavo già all'epoca di “Caos sublime”, un mio libro del 2009: la demografia mostra un futuro reale, più che reale, “quasi” certo. Nei prossimi trenta o quarant’anni, perderemo più di 10 milioni di abitanti e la perdita di popolazione è un danno estremamente grave, non siamo in grado di coprire questa mancanza neanche con l'immigrazione.
Questo che sfida rappresenta per voi architetti?
Per noi architetti il sovrappopolamento delle grandi città costituisce un problema per il quale potrei rispondere: “lo abbiamo già previsto it's too late”, troppo tardi,. Le dico solo che nel 1986 la città di Shenzen in Cina, dove ho aperto una delle sedi del mio studio, era un villaggio di pescatori di 25mila abitanti, adesso ne conta 12 milioni. Non a caso, lì ho costruito uno dei più grandi aeroporti del mondo. Ecco perché dico che tutto è già avvenuto, quello che non posso dire è in che modo ridurre uno dei più rilevanti fenomeni del mondo. Si sta pensando a centri come le città satelliti francesi, una sorta di “new town”, autodefinite e organizzate, quelle vengono chiamate “città dei 15 minuti”, dove tutto ciò di cui si ha bisogno può essere raggiunto a piedi o in bici in un quarto d’ora. Questo è il modello a cui guardano molti sindaci, ma ovviamente non si può pensare di rendere una città estremamente caotica e complessa come Parigi una città dei 15 minuti, ripensandola completamente.
In “Caos sublime” scrive che il caos deterministico “è un concetto che cambia il modo di progettare”. Cosa intende?
Negli anni ‘80 ho cominciato a interessarmi alla fisica e alla meccanica quantistica per poi passare alla teoria del caos e ai frattali. A quel punto cominciai a riflettere su una serie di algoritmi che possono essere chiarificatori della teoria del caos e, dall’incrocio tra algoritmi e frattali, nacque il progetto della Nuvola, per il quale misi a confronto una parte di geometria euclidea - molto semplice - con una geometria più complessa, basata appunto su algoritmi e frattali. Così è nata la complessità della struttura: dallo scontro tra elementi regolari ed elementi irregolari che creava uno spazio molto più ricco di quello che normalmente sarei riuscito a pensare. Ecco, alla fine fui più interessato allo spazio che si creava da questo scontro. I vuoti mi interessavano più dei pieni.
Il 2022 è stato eletto anno del vetro, molto presente nelle sue opere. Come riesce a essere ancora ispirazione e strumento un materiale così antico?
A dire la verità, la ricerca è molto lenta e - in fin dei conti - abbiamo a disposizione pochi materiali a cui ricorrere. Circa una trentina di anni fa, per realizzare lo Zenith a Strasburgo, la sala da concerti più grande d'Europa capace di ospitare circa 12mila spettatori, partìi da un nocciolo di cemento, poi passai all’acciaio come elemento intermedio e ricoprìi tutto con una fibra di vetro color arancione/rosso, scegliendo un tipo di tessitura che lo rendesse trasparente e in un certo senso poroso, ma impedendo di far entrare il vento e l’acqua. Questo stesso materiale, che si chiama Atex, l’ho usato anche per la Nuvola. Noi cerchiamo materiali sempre differenti, più avanzati, ad esempio, capaci di ridurre a pochi millimetri gli spessori degli immobili mantenendo la stessa capacità di respirare e isolare. Dovremmo pensare a un edificio che non solo riesce a risparmiare energia, ma sia in grado anche di produrne, con pareti e coperture adatte a questo scopo. Esistono vernici fotovoltaiche che, in pochi micron, riescono a produrre energia. La ricerca che va in questa direzione è utile per la ricerca spaziale, ma costa ancora troppo per l'edilizia.
La sensibilità ambientale dovrebbe quindi essere accompagnata da maggiori investimenti nella ricerca?
Sì. Ce ne accorgiamo in situazioni estreme, com’è successo per la pandemia, a quel punto ci rendiamo conto di aver investito poco in ricerca. La sensibilità ambientale è come il coraggio, o ce l’hai o non ce l’hai. Nei miei progetti ho sempre cercato di mirare al risparmio energetico o di esercitare buone pratiche, come riutilizzare l'acqua oppure fare una pompa di calore usando bacini sotterranei, come nel caso del laghetto sotterraneo dell’Eur e della Nuvola, sopra la quale sono installati 5.000 metri quadri di panelli solari.
In Italia abbiamo però un notevole problema di abusivismo e di consumo di suolo. Come convertire l'edilizia attraverso l’aggiornamento del patrimonio esistente?
Non sono fiducioso. Queste cose si dicono in campagna elettorale, nei proclami politici o nei programmi di governo, ma se lei prende un treno da Roma a Milano, nel tragitto vede tante di quelle “schifezze” che nessuno può immaginare di raderle al suolo. In Italia, negli ultimi quarant'anni, si sono realizzati circa sette milioni tra grandi e piccoli abusivi. In Turchia, cinque milioni. Questo significa che siamo legati a una logica dell'abuso. In parte nata per necessità, ma in gran parte è dovuta a una deformazione culturale, che si manifesta nel costruire dovunque, comunque e qualunque cosa.
Gli architetti sono tra i protagonisti della scena pubblica, tanto da meritarsi l’appellativo di archistar, in alcuni casi. Lei si sente tale?
Attenzione, chi mi chiama “archistar”, con me, rischia grosso.
E come considera l’influenza mediatica che può esercitare?
Sì, la popolarità conta, ma l’influenza reale è nulla. Questa mattina sono andato un po’ più lontano del solito a fare colazione e mi sono seduto in un bar fuori dalla mia zona. A un certo punto è arrivata una signora che voleva parlare con me perché era stata allieva di mia madre, che era insegnante di filosofia, e mi diceva che era bravissima. Mi ferma tanta gente, tanta gente mi dice che sono romanista come loro, mi conoscono però l’influenza che esplicito è nulla. Pensi che sono vent'anni che nessuno mi dà un incarico in Italia.
Qual è il legame con le sue origini lituane?
La Lituania è un luogo che amo molto. È un popolo straordinario. Le dirò una cosa che ancora non sa quasi nessuno. All’inizio di quest’anno mi è stata riattivata la cittadinanza lituana. E non me l'hanno conferita perché sono conosciuto o per la mia origine, ma perché pare sia sempre rimasto cittadino lituano. Mio padre lituano sposò mia madre italiana ma che nel periodo fascista la donna perdeva la cittadinanza se sposava uno straniero. Alla fine, si è scoperto che io sono diventato italiano a 21 anni. Ho visitato la Lituania subito dopo l’indipendenza, all’inizio del 1990. È un Paese piccolo ha circa tre milioni di abitanti, però produce molti artisti, creatori e registi. La mia famiglia era di origina ebraica e veniva da Kaunas. Mio nonno medico conobbe mia nonna in Germania quando andò a studiare medicina a Heidelberg perché in quel periodo agli ebrei era proibito studiare all’Università in Lituania e anche in Russia. Mio padre morì quando avevo solo sei anni e rimanemmo soli io e mia madre che, essendo tornata cittadina italiana, poté riprendere a insegnare filosofia in Italia. La storia della mia famiglia, non è una semplice, e io sono molto legato alle mie origini.