Faccia a faccia: Piano piano

Quel viaggio verso Bach

Ramin Bahrami copertina
di A. C.

Il pianista Ramin Bahrami è un vero talento che, dopo la fuga dall'Iran appena dodicenne per motivi politici, arriva in Italia, dove studia pianoforte, diplomandosi al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano col Maestro Piero Rattalino. Il suo nome è spesso accostato a quello di un gigante quale Glenn Gould, di cui è considerato l'erede, ma che ha anche segnato il suo amore per Bach

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Ramin Bahrami è un pianista di fama mondiale. Dopo la fuga dall'Iran appena dodicenne per motivi politici, arriva in Italia dove studia pianoforte, diplomandosi al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano col Maestro Piero Rattalino. Un incontro che segnerà il suo percorso. Racconta che durante i bombardamenti a Teheran "sentivo le musiche di Bach nelle meravigliose esecuzioni del sommo pianista canadese Glenn Gould”. Il suo nome, infatti, è spesso accostato a quello di Gould, di cui non solo è considerato l'erede ma che ha anche instillato in lui l’amore per Bach, di cui parla nel suo libro “Come Bach mi ha salvato la vita” (Mondadori).

Qual è stato il momento in cui ha capito che la musica sarebbe stata la sua vita?

Posso dire di averla scoperta molto presto, già a tre anni, quando mi divertivo a stare sul tavolo in cucina, facendo finta di essere un direttore d'orchestra. Sono nato in una famiglia cosmopolita: mio padre era metà tedesco e metà iraniano, mentre mia madre è persiana con origini russo-turche. In casa si ascoltava musica tutto il giorno: mio padre mi faceva ascoltare le sinfonie di Beethoven, poi passavamo a Brahms, ma anche a Elvis Presley. Insomma, un po’ tutta la musica del mondo. Questo mi ha aperto a una vasta gamma di suoni e mi ha permesso di non sentire l’ansia che regnava fuori, grazie alla forza della musica. A Teheran, durante i bombardamenti, sentivo le musiche di Bach nelle meravigliose esecuzioni del sommo pianista canadese Glenn Gould. Così, già a sei anni, mi avvicinai al pianoforte. Quella musica mi appariva come la musica perfetta, da sogno, non solo per la sua bellezza, ma anche come una sorta di protezione, un rifugio in un mondo sublime.

Bach è al centro della sua carriera: cosa rappresenta per lei la sua musica?

La musica di Bach per me è la rappresentazione del soprannaturale, del divino. Non esagero se dico che riesce a descrivere musicalmente la perfezione del Creato. Senza dubbio è la testimonianza musicale più importante che gli esseri umani sono riusciti a realizzare. È quella magia che esiste solo nei suoni, nel modo di intendere la bellezza come la intendeva Bach.

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Lei è nato a Teheran ma ha trovato in Italia una seconda casa. Cosa ha significato per lei questo viaggio? E c’è un ricordo particolare legato ai suoi primi anni in Italia?

Ricordo molto bene il primo giorno dell'esame di ammissione al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. È stato un momento molto emozionante. Pensare che Verdi stesso fu bocciato in questo istituto, che oggi vanta di essere una delle scuole più prestigiose al mondo per la formazione di giovani musicisti, fa riflettere sugli errori che si possono commettere nel giudicare un talento. Entrare in questo tempio della musica e della bellezza, per un bambino che arrivava da lontano e non parlava minimamente l’italiano, fu un’esperienza intensa. Fui accolto da Marcello Abbado, fratello maggiore di Claudio Abbado e direttore del Conservatorio, insieme ad alcuni insegnanti che vollero ascoltarmi suonare. Ricordo che durante il volo da Teheran a Milano avevo improvvisato una mia melodia in tre quarti e, non avendo ancora studiato i grandi maestri occidentali che sarebbero poi diventati così importanti per me, decisi di eseguire proprio quella all’esame di ammissione. Era una melodia con influenze spagnoleggianti e orientali, e fu proprio questa a farmi ottenere l’opportunità di studiare con Piero Rattalino, uno dei più autorevoli pianisti a livello europeo e mondiale. Purtroppo, ci ha lasciati un anno fa, all’età di 92 anni, ma il suo insegnamento è stato fondamentale per me. Scrisse anche la prefazione del mio primo libro “Come Bach mi ha salvato la vita”, pubblicato alcuni anni fa da Mondadori, in cui racconto il mio percorso musicale e umano insieme ai maestri occidentali. In quella prefazione, Rattalino descriveva quegli anni meravigliosi in un'Italia - e una Milano - accogliente, ospitale, vicina a chi veniva da lontano per attingere alla sua bellezza e cultura. Dopotutto, l’Italia è il Paese della musica. Basta pensare alle indicazioni agogiche dei compositori: allegro, andante con brio, pianissimo, mezzo forte… Già da bambino ero affascinato da questi termini che leggevo nei libri, e poterli poi vivere studiando in un Paese così ricco di tradizioni è stato un privilegio. Gli anni passati a Milano sono stati i più sereni e importanti della mia vita.

La musica può essere strumento di pace?

Assolutamente! La musica, in particolar modo quella di Johann Sebastian Bach, ci insegna a far convivere le differenze, le voci o le melodie differenti. In particolare, il pianoforte lo definirei uno strumento di fratellanza per antonomasia, anche solo per il fatto che i tasti sono bianchi e neri e che entrambi sono necessari allo stesso modo. Nella musica non c’è paura delle differenze, poiché è fatta di consonanze e dissonanze che quasi sempre si risolvono. Se imparassimo questo dalla musica, sicuramente avremmo un mondo migliore in cui vivere, parlo anche come padre di una bambina di undici anni - la mia meravigliosa Maria -, pensando al suo futuro.

Che tipo di relazione ha con il suo strumento, il pianoforte?

Trovo che il pianoforte sia lo strumento più affascinante per comunicare i sentimenti. Anche qui va ringraziata l'Italia, perché i primi prototipi di pianoforti furono inventati da Bartolomeo Cristofori a Firenze. Erano strumenti ancora abbastanza ingenui, che poi il genio umano ha saputo, soprattutto nel ’900, raffinare, perfezionare fino a portarci ai pianoforti i moderni. Non credo ci sia uno strumento migliore per comunicare il messaggio spirituale di Johann Sebastian Bach, perché il pianoforte è in grado, come diceva Franz Liszt, di essere realmente un'orchestra con la quale tu puoi ricreare tutti i suoni, anche extramusicali, tutti i suoni della vita. È sicuramente uno strumento capace di emozionare, di far ridere, di far piangere. Per questo il rapporto non può essere che un bellissimo rapporto.

C’è un momento particolare della giornata in cui preferisce suonare?

Amo molto la notte e le ore serali, ma amo anche moltissimo la mattina molto presto , quando ancora anche gli uccelli si devono svegliare. Mi ricordo quando ero studente, a diciott'anni, poveri i miei vicini, mi alzavo alle 4.00 per studiare, per poi prendere il treno alle 7.00 e non fare brutte figure col mio Maestro prima di raggiungerlo a Imola dove studiavo alla Accademia internazionale.

Che rapporto ha con la scienza e la tecnologia?

Ho molto rispetto per le cose belle che la scienza ha saputo fare al servizio del genere umano. Non ringrazierò mai abbastanza i grandi scienziati che hanno reso le nostre vite decisamente più sicure e migliori. Confesso però che ho molta paura quando la scienza non è più al servizio dell'uomo, ma delega tutto all’intelligenza artificiale che, in realtà, non potrà mai prendere il posto del genio umano. L'imprevedibilità umana è qualcosa che trascende qualsiasi algoritmo o macchina.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

Entro fine febbraio uscirà un mio libro sulla vita di Robert Schumann, l'uomo che amava le maschere che usava tanto nelle proprie composizioni. Essendo letteralmente schizofrenico ha introdotto la pazzia nella musica. Questo libro fa parte di una serie di altri volumi, che ormai scrivo da anni per La nave di Teseo, sui compositori, e questo progetto andrà avanti e proseguirà ancora con altri compositori. Poi ho i miei progetti concertistici e quest'anno sono molto contento perché, tra neanche un mese, suonerò in Indonesia a Giacarta.

Se dovesse descrivere brevemente la musica, quali parole sceglierebbe?

La musica è la voce del divino. Quella forza che riesce a dire tutto senza l'ausilio delle parole.

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