Paolo Calabresi: Biascica e non solo
Paolo Calabresi, attore poliedrico e figura amata di cinema e teatro, racconta il suo percorso verso la recitazione. Con una laurea in Giurisprudenza quasi completata, la sua vita ha preso una svolta inattesa dopo una delusione amorosa. Un incontro casuale con l’arte lo ha portato a studiare al Piccolo Teatro di Milano, segnando l’inizio di una carriera straordinaria. Da allora, ha conquistato il pubblico con interpretazioni memorabili, come il ruvido Biascica in "Boris", senza mai dimenticare il valore dell’apprendimento anche dai progetti più difficili
L’attore romano Paolo Calabresi, dopo il diploma al liceo classico sostiene alcuni esami alla facoltà di Giurisprudenza per poi dedicarsi alla recitazione: entra a far parte della compagnia del Piccolo Teatro di Milano e recita in molte opere dirette da registi importanti, come Giorgio Albertazzi, Giorgio Streheler e Luca Ronconi. Inizia quindi a lavorare anche al cinema e in televisione, dove, oltre che recitare partecipa ad alcuni programmi, come lo show investigativo “Le Iene”, in onda su Italia 1 e, vestendo i panni di conduttore, nella trasmissione “The Italian job,” su La7. Ed è proprio in tv che prende parte alla serie “Boris”, in cui interpreta l’elettricista Augusto Biascica. La sua attività continua a dividersi tra cinema, teatro e televisione, per la quale, come ci anticipa, sta lavorando alla serie Netflix “Il Gattopardo”.
Come ha cominciato a fare l’attore?
Non avevo alcuna intenzione di fare questo mestiere. Non ho precedenti artistici in famiglia. Dovevo laurearmi in legge, avevo sostenuto quindici esami a Giurisprudenza, me ne mancavano sei. Poi la ragazza che frequentavo all’epoca mi lascia. A 21 anni finisce una grande storia d’amore. Avevo un amico a Parigi, studiava lì e mi invita ad andare da lui. Un giorno capito davanti a un teatro, il Théâtre du Châtelet. Da un capannello di persone pronte a entrare, esce fuori una vecchietta che mi offre il biglietto del marito che non era venuto e da sola faticava a salire le scale. E così ho visto la rappresentazione dell’"Opera da tre soldi", di Strehler, con Milva protagonista. Sono rimasto folgorato, ma è finita lì, anche se quelle tre ore per me sono state incredibili. Tre mesi dopo, è uscito il bando per entrare alla Scuola del Teatro Piccolo di Milano. Ho fatto tre selezioni nell'arco di un anno e sono stato preso, incredibilmente. Se quella ragazza non mi avesse lasciato, non avrei fatto l’attore.
Quando si dice che una crisi può rappresentare un’opportunità…
Sembra un luogo comune, ma risponde al vero. Spesso - vale soprattutto per noi attori - le cose che ci succedono le prendiamo come una disgrazia e ci chiudiamo dentro a un narcisistico dolore. In realtà, sono delle opportunità.
Un film che ha nel cuore, non necessariamente interpretato da lei?
Ce ne sono diversi, ma forse uno in particolare è "C'era una volta in America". Non soltanto perché è un grandissimo film, ma per il fatto che l'ho vissuto, in parte, direttamente, ero molto amico di Andrea Morricone, il figlio di Ennio, con cui ero in classe fin dalle scuole medie. Per cui, nel periodo in cui Sergio Leone girava le famose scene finali di "C'era una volta in America", quelle del teatro cinese, sono state girate al Teatro la Cometa, che allora era tutto da ricostruire. Con Andrea ci siamo nascosti lì, tra le vecchie poltrone, a guardare le scene di De Niro. Un'esperienza incredibile. Sì, è il film a cui sono emotivamente più affezionato, al di là della sua bellezza.
Mentre, tra i film a cui ho partecipato, sicuramente "Boris", che ho nel cuore: il personaggio di Biascica che ho interpretato è un pezzo di me. Ho avuto la fortuna di fare cose belle, ma anche brutte e credo di aver imparato il mestiere soprattutto dalle seconde, perché è più facile recitare con bravi registi e con belle sceneggiature. Con testi scritti male, invece, dare credibilità a certi personaggi è una bella prova da attore.
In quale film è impegnato adesso?
Sto girando una pellicola con la regia di Giampaolo Morelli, che si chiama "L'amore sta bene su tutto". Si tratta di un episodio che mi vede in compagnia di Max Tortora e Monica Guerritore. E' una commedia ben scritta, sono molto soddisfatto. Poi parto per la tournée di "Perfetti sconosciuti", la versione teatrale del film. Sono già diversi anni che la portiamo in giro ed è un successo clamoroso. Si tratta di un testo baciato non solo dalla fortuna, ma anche dalla bravura di chi l'ha scritto.
Che rapporto ha con la tecnologia e con la scienza in generale?
Cerco di difendermi dall’uso di queste macchinette qui (dice mostrando il suo smartphone). Ho sviluppato una dipendenza notevole, che a volte mi spaventa, però devo dire che questa trasposizione della nostra memoria - e anche della nostra capacità di utilizzarla in un hard disk esterno - mi fa vedere più difetti che utilità. In tutto questo, ho quattro figli e l’ultimo, che ha appena iniziato l’università, ha scelto Fisica. Nonostante i suoi 19 anni, è di una generazione molto più evoluta della mia da questo punto di vista. Mi spiega tante cose che non ho mai saputo oppure ho dimenticato, concetti e principi che in realtà appartengono alla mia generazione più che alla sua. Sono molto fiero della sua scelta.
In quali progetti sarà impegnato prossimamente?
C'è la promozione di diversi lavori che ho fatto, l’ultimo riguarda "Berlinguer - La grande ambizione", il film di apertura della Festa del Cinema di Roma. Un’opera in cui la figura di Berlinguer è centrale, ovviamente, ma non è un film ideologico, non è un santino su quel personaggio, è più che altro un racconto di un'anima politica che non esiste più. Dovrebbero vederlo le nuove generazioni, mostra un modo di far politica vicino alla gente, non a parole, ma nei fatti: si scendeva per strada. Era così in generale, ma il discorso valeva in particolar modo per il Partito comunista dell’epoca. Poi ho un'operazione importante con Netflix, "Il Gattopardo", finito di girare l'anno scorso, uscirà in primavera.
Un saluto alla Biascica per le nostre ricercatrici e ricercatori?
Un saluto de core, con tutto il rispetto, ai professoroni, gente de cultura. Culturisti, insomma.