È interessante osservare i risultati di uno studio diffuso dalla BBC, secondo il quale minore è la percezione della velocità della crescita dei contagi in una fase esponenziale, minore è il grado con cui vengono rispettate le misure di contenimento della diffusione del virus. Ecco perché capire questo semplice concetto matematico è molto importante – e prima lo si impara (possibilmente a scuola) meglio è, anche se, come diceva negli anni Sessanta il maestro Alberto Manzi, «non è mai troppo tardi».
Del resto il ruolo che ha la matematica nella vita di tutti noi va oltre la sua utilità specifica. Lo studio della matematica è rilevante al di là delle conoscenze specifiche acquisite, perché studiando questa disciplina si acquisisce un modo di ragionare, una metodologia, un approccio, che risulta spesso utile nei campi più diversi. Ad esempio, tra i programmi televisivi a cui ho partecipato come ospite per presentare i risultati delle mie ricerche sulla pandemia, ce n’è uno, I numeri della pandemia, a cura del dottor Alessandro Marenzi, laureato in matematica. Ebbene, prima che lui me lo dicesse, me n’ero reso conto da solo, per via dell’accuratezza e del rigore con cui affrontava le tematiche trattate nel programma. Non siete ancora convinti? Allora vi illustro, sinteticamente, i risultati di una ricerca coordinata dal professore di neuroscienze cognitive Roi Cohen Kadosh dell’università di Oxford, contenuti in un articolo che è stato pubblicato recentemente su una prestigiosa rivista scientifica americana. Nella ricerca viene studiato un gruppo di studenti britannici nella fascia d’età dai 14 ai 18 anni. Bisogna sapere che nel Regno Unito a sedici anni gli studenti possono decidere se continuare o meno gli studi in matematica. Bene, chi non li aveva proseguiti aveva, in media, un numero minore di un certo tipo di trasmettitori cerebrali, fondamentali nella riorganizzazione delle sinapsi, fenomeno molto importante per le trasformazioni che avvengono nel cervello umano durante l’adolescenza. Questo accadeva anche se i ragazzi continuavano a studiare altre materie scientifiche come la fisica, la chimica o la biologia. Occorre notare che prima dei sedici anni non c’era nessuna differenza statisticamente significativa nei livelli di questo trasmettitore tra i due gruppi di studenti. Sembra quindi che la differenza dei livelli sia dovuta proprio all’abbandono dello studio della matematica, che limita lo sviluppo del pensiero logico-deduttivo il quale ci permette invece di risolvere i problemi della vita reale di tutti i giorni. Certo, se questi risultati venissero confermati in maniera più ampia, in modo da considerare dimostrate definitivamente le conclusioni dello studio, al posto del ministro dell’Istruzione del Regno Unito non avrei dubbi e correrei ad abolire la norma che consente un abbandono così prematuro degli studi in matematica. [...]