Il lungo volo delle polveri fossili dal Sahara all’Amazzonia

Ogni anno milioni di tonnellate di polveri minerali vengono sollevate nel deserto del Sahara dai venti e da qui volano verso ovest, sopra l’oceano. Parte precipitano sull’Atlantico, concimando il fitoplancton, mentre le restanti ricadono sul bacino amazzonico, fertilizzandolo. A spiegarci questo fenomeno è Massimiliano Pasqui, fisico dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr
Deserto del Sahara, depressione di Bodélé, Ciad settentrionale: una lunga striscia di terra riarsa, stretta tra gli altopiani del Tibesti e dell’Ennedi, spazzata dai venti che soffiano dalla Libia e dall’Egitto. Un territorio inospitale. Eppure essenziale per la sopravvivenza del maggior serbatoio di biodiversità del Pianeta: la foresta pluviale amazzonica. E tutto questo è possibile grazie a un “volo” molto speciale, di oltre 8.000 chilometri.
Per spiegare di che cosa stiamo parlando occorre tornare indietro nel tempo di quasi 10.000 anni, quando un vasto lago si estendeva in tutta l’Africa centro-settentrionale. Denominato dagli scienziati lago “Mega Chad”, nel neolitico sub pluviale copriva più di 400.000 chilometri quadrati, costituendo il più grande bacino d’acqua dolce del Pianeta. A partire dal 3.900 a.C., però, le pianure e i fiumi del Sahara cominciarono a inaridirsi, spezzando il Mega Chad in 3 laghi più piccoli: il Ciad, unico sopravvissuto fino ad oggi, il Fitri e il Bodélé, sul quale incentriamo la nostra attenzione.
In quei tempi, il Bodélé era popolato di diatomee, alghe unicellulari comparse nel Cretaceo, che ancora oggi rappresentano una delle più importanti classi di microalghe, producendo il 25% circa di tutto l'ossigeno terrestre. Per millenni, al termine del loro ciclo di vita, le diatomee si sono depositate sul fondo del lago, fossilizzandosi con il trascorrere delle ere geologiche. Una volta che il Bodélé si fu completamente prosciugato, al suo posto emerse una vasta distesa di polvere di diatomite - la roccia silicea sedimentaria residuo delle diatomee -, che oggi fa della depressione di Bodélé una delle maggiori aree di rilascio di polvere minerale del mondo.
Ma in che modo tutto questo ha a che fare con l’Amazzonia? Lo abbiamo chiesto a Massimiliano Pasqui, fisico dell’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr. “Ogni anno milioni di tonnellate di polveri vengono sollevate dai venti dalla depressione di Bodélé e da qui volano verso ovest, sopra l’oceano. Parte di queste precipitano sull’Atlantico, concimando il fitoplancton, mentre le restanti ricadono sul bacino amazzonico, fertilizzandolo”.

Vediamo questo meccanismo più in dettaglio. “Innanzitutto, va fatta una premessa: quando si parla di polveri del Sahara non bisogna immaginare la sabbia delle dune. I granelli di sabbia sono troppo pesanti per essere sollevati all’altezza delle correnti atmosferiche. In questo caso, la granulometria è molto importante: le polveri di cui parliamo sono fatte di particelle decisamente più piccole, con dimensioni che oscillano fra 10 nanometri e i 100 micrometri”, spiega il ricercatore del Cnr-Ibe. “Il viaggio delle polveri è reso possibile da una combinazione di fattori geomorfologici e meteorologici. Dal punto di vista geomorfologico, la depressione di Bodélé è come una galleria del vento naturale: i venti, costretti a passare tra due catene montuose, accelerano per l’effetto Venturi, sollevando grandi quantità di materiale, soprattutto a causa della tipologia di terreno, fatto di polvere di diatomite”.
A portarle verso l’alto e poi verso ovest è un meccanismo meteorologico chiaramente visibile dalle immagini dei satelliti. “Il grosso di queste polveri rimane in sospensione nello strato dell’atmosfera più vicino alla superficie, la troposfera, una condizione, questa, fondamentale perché il meccanismo di cui parliamo s’inneschi. Appena sopra al boundary layer - cioè sopra al primo strato della troposfera che si considera sempre rimescolato - in una regione posta tra il Sahara meridionale e l’Equatore, si osserva una fascia dove i venti sono compatti, coerenti e molto intensi. Questi venti costituiscono un vero e proprio nastro trasportatore, che va da est verso ovest, e sul quale le polveri si instradano, viaggiando a gran velocità fin sopra l’Amazzonia. Quando, 8.000 chilometri più a ovest, le polveri arrivano sulla foresta pluviale, i rimescolamenti verticali dell’aria, spesso presenti su questa regione, come ad esempio quelli generati dai temporali, le fanno infine ricadere al suolo”, conclude Pasqui.
Tonnellate di polveri, ricchissime di fosforo e altri nutrienti, che rappresentano la più grande fonte di sostentamento dell'Amazzonia, dove invece questi elementi, essenziali per la crescita delle piante, vengono continuamente dilavati dalle piogge torrenziali. Una delle zone più aride della Terra che mantiene in vita una delle più fertili: una connessione che sfida la nostra precomprensione su cosa sia fecondo e cosa non lo sia, dimostrazione tangibile degli equilibri nascosti del Pianeta.
Fonte: Massimiliano Pasqui, Istituto per la bioeconomia, massimiliano.pasqui@ibe.cnr.it
Crediti dell'immagine del titolo: NASA’s Earth Observatory