Lo scorso 3 aprile, presso la sala Aldo Moro di palazzo Montecitorio, si è tenuto il convegno 'Motivare la legge? Le norme tra politica, amministrazione e giurisdizione’, organizzato dalla Commissione parlamentare per la semplificazione e l’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie 'Massimo Severo Giannini’ (Issirfa) del Cnr. Sul tema sono intervenuti tra gli altri il presidente della Commissione Bruno Tabacci e il vicepresidente emerito della Corte costituzionale Enzo Cheli.
La discussione è partita da una ricostruzione storica della motivazione della legge, risalente a Platone, che la utilizzava come tecnica per giustificare l’esercizio della competenza legislativa, ed è proseguita con uno scenario a livello internazionale: dai paesi del 'Common Law’ - in Gran Bretagna, ad esempio la motivazione è prevista nell’ambito delle leggi provvedimento - a quelli del 'Civil Law’, come l’America Latina, in cui l’obbligo si applica a tutti gli atti legislativi.
Per quanto riguarda l'Italia, mentre la legge n. 241 del 1990 ha riconosciuto l’obbligo di motivazione per i provvedimenti amministrativi, la questione per la legge è ancora incerta, con eccezione della Toscana, unica regione ad aver introdotto questo istituto per gli atti normativi. “Nella cultura giuridica tradizionale del nostro Paese, la legge è libera. Così si spiega il ritardo nel riconoscimento dell’obbligo di motivazione”, ha spiegato il direttore Issirfa-Cnr, Stelio Mangiameli. “Motivare la legge diventerebbe in qualche modo un vincolo per il legislatore e per l’applicazione stessa della norma, una forma di 'cristallizzazione’ delle intenzioni del legislatore”.
Come emerso dal convegno, sul tema i giuristi sono divisi. Alla posizione di coloro per cui “gli adempimenti vigenti, se rispettati, sono sufficienti a rendere conto del procedimento decisionale scelto dal governo” (Carlo Deodato, capo del Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del consiglio dei ministri) e “in ambito europeo ed extraeuropeo, la motivazione non ha portato vantaggi nella legislazione” (Silvio Boccalatte, Istituto Bruno Leoni di Torino), si contrappongono coloro che vedono nella motivazione dell’atto legislativo una necessità, non tanto per chiarire la formulazione linguistica delle leggi, quanto per comprendere a fondo l’operato del legislatore e le finalità della sua scelta.
Ma, come affermato dal presidente della V sezione del Consiglio di stato Alessandro Pajno, “chi ci assicura che la motivazione della legge rispecchi le reali intenzioni che hanno spinto il legislatore a sceglierla?”.
Fonte: Stelio Mangiameli, Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie "Massimo Severo Giannini", Roma, tel. 06/49937700 , email stelio.mangiameli@cnr.it