La scoperta scientifica? Questione di archetipi
di M. F.A definire a livello di studi storico-religiosi il ruolo trascendentale e metafisico dell'amore fu Walter Otto, studioso tedesco (1874-1958) che stabilì anche una sorta di gerarchia etico-evolutiva nella quale, in base a tale principio, il cristianesimo assume il primo posto. Una teoria che denuncia chiaramente un approccio molto datato ma non priva di fondamento e di un notevole fascino: bene ha fatto dunque l'editore Fazi a ripubblicare, dopo 20 anni, 'Il volto degli dèi', il saggio con cui Otto affronta il tema 'Legge, archetipo e mito', come recita il titolo originale.
Facendo seguito a una tradizione di pensiero plurimillenaria – quella di Aristotele, Agostino, Holderlin, Goethe, Schopenhauer, Kant (l'immancabile “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”), ma a suo modo anche Nietzsche – l'autore vede l'essere umano in una “luce” che lo distingue dagli altri esseri viventi, soggetti alla loro natura. L'uomo, sostiene lo studioso, è caratterizzato da una specificità morale e da una prerogativa trascendentale che trovano rispondenza nella postura eretta, con la quale egli si pone simbolicamente tra terra e cielo, nel canto, nel pianto, nel riso e soprattutto nella lingua. E che si esprimono negli ordinamenti con cui, a partire da greci, romani e cristiani, vengono regolati i comportamenti individuali e sociali: la vera “divina folgorazione” che ci caratterizza è anzi l'archetipo, cioè il modello al quale questa regolazione viene conformata e del quale lo spontaneo apprendimento della lingua a livello infantile è un esempio probatorio. Questa interpretazione spiega secondo Otto anche “le scoperte decisive, quelle che per generazioni hanno indicato il percorso alla ricerca scientifica” e che “non sono avvenute attraverso un lungo e complicato ricercare, calcolare e progettare, ma si sono impadronite improvvisamente e miracolosamente dello scienziato, proprio come le idee che afferrano involontariamente il poeta e l'artista”.
Questo modello interpretativo secondo il quale “l'idea decisiva illumina dall'alto” e, per fare un altro esempio, definiamo “divino” il genio precoce di Mozart, è di palese derivazione romantica: una sorta di esegesi top down del progresso e della creatività a cui si aggiunge un altro elemento fondamentale: il mito. L'Antigone di Sofocle, che nonostante il divieto dello Stato dà sepoltura al fratello, i racconti di Platone e Socrate o l'Antico Testamento dimostrano come - mentre l'uomo moderno è “completamente chiuso” e guidato “solo dal proprio ristretto punto di vista” - “l'uomo dell'antichità più remota” fosse invece “orientato oggettivamente” mediante l'arte o il teatro, specifici strumenti della “dea della bellezza morale il cui nome Charis esprime insieme fascino, grazia, dedizione e gratitudine”. Leggi e virtù osservate “per ubbidienza di fronte al comandamento di Dio” sono cioè conosciute attraverso l'immagine, che non è una mera “rappresentazione visiva”. Il segno della decadenza sta quindi nel passaggio dalla “mentalità 'mitica', che dev'essere definita 'prelogica'” a quella che pretende di “sottoporre a una critica razionale le storie tramandate degli dèi e del mondo primordiale”, fino a ridurle a “una narrazione di avvenimenti favolosi che può nascondere in sé un contenuto più profondo ma che in realtà non è vera”.
Walter Otto scriveva queste cose in un frangente nel quale altri studiosi delle religioni quali Raffaele Pettazzoni, Leo Frobenius e Adolf Jensen elaboravano modelli analoghi o complementari. Ma anche contrapponendosi alle teorie che inseriscono il mito nella sfera della magia oppure che, per esempio Lucien Lévy-Bruhl, riconducono la soggezione al mito dei primitivi a una labilità mentale che li renderebbe incapace di distinguere falso e sogno dalla verità-realtà. Nonostante ciò, 'Il volto degli dèi' conserva una sua attualità laddove affronta la questione della forma, non intesa come “una qualsiasi configurazione tra quelle possibili e producibili artificialmente” ma identificata con la bellezza “genuina e in sé immobile è dinamica”, “capace di generare”, scaturita da “una necessità interna”. Di fronte ai segnali di decadenza che ritiene di cogliere, Otto ricorda come, oltre che nella “venerazione di Dio”, nei “procedimenti più sacri” e nella “verità dell'evento divino”, la bellezza si esprima nelle “forme poetiche” che ancora possono agire “sulla nostra interiorità”, anche se “non possiedono più la potenza con cui il mito antico rese l'uomo testimone della propria verità”. E conclude: “Solo quando non ci sarà più alcuna poesia, né arte figurativa, né musica, né architettura sarà giunta la fine del mito. Ma quel giorno non verrà mai, se non con il tramonto del genere umano”. Parole che anche nella nostra società secolarizzata e multiculturale conservano una immutata funzione ammonitrice.
titolo: Il volto degli dèi
categoria: Saggi
autore/i: Otto Walter Friedrich
editore: Fazi
pagine: 94
prezzo: € 15.00