Faccia a faccia

Vincenzo Schettini: il fisico che…ci piace

Credits Giovanni Albore
di Francesca Gorini

Impegnato nei teatri di tutta Italia con il tour del suo “La fisica che ci piace: la lezione show”, il docente di fisica molto amato dal web si racconta tra passato e presente. E non manca di rivolgere un augurio ai giovani scienziati del futuro: siate creativi!

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Il suo canale YouTube “La fisica che ci piace” ha rivoluzionato il modo di comunicare la scienza: con oltre 700.000 iscritti e milioni di visualizzazioni, è dedicato “a chi ama la fisica, vuole capirla meglio, si vuole divertire a scoprire come è fatto il mondo”. Stiamo parlando di Vincenzo Schettini, fisico e divulgatore, la cui popolarità ha ben presto travalicato i confini del web: ha pubblicato per Mondadori “La fisica che ci piace”, con il quale ha vinto il premio Elsa Morante Ragazzi Esperienze, seguito da “Ci vuole un fisico bestiale”; ha proposto grandi eventi di divulgazione della scienza; è comparso in televisione, dove nel 2024 è stato protagonista del programma di Rai 2 “La fisica dell’amore”, rivedibile su Rai Play; è stato a teatro. Proprio in questi giorni, ha preso il via il tour di “La fisica che ci piace: la lezione show”, che lo vedrà impegnato fino a maggio, con il quale promette di far salire il pubblico “sulle montagne russe della conoscenza”, sempre con lo stile informale che lo caratterizza. Un successo che, tuttavia, non scalfisce la sua più grande passione: l’insegnamento, a cui continua a dedicarsi, in particolare in un Istituto tecnico della provincia di Bari.

Sulla sua pagina web lei si definisce “un fisico, un musicista e un amante della vita”, ma oltre a tutto questo lei è anche e soprattutto l’insegnante che tutti avrebbero voluto avere al liceo. La sua è una vocazione?

Insegnare è qualcosa che ho sempre sentito come congeniale a livello istintivo, fin da quando ero piccolo, non so se si possa parlare di vocazione. Mia madre è stata un’insegnante di disegno, oggi in pensione: ricordo perfettamente quando tornava a casa con i registri in mano, le gite con gli studenti a cui io stesso, allora molto piccolo, partecipavo.  Eperienze che mi hanno portato a vedere il mondo della scuola con occhi diversi. Quando questo “istinto” è diventato un mestiere, mi sono sentito realizzato, contento di una scelta che in qualche modo era già tracciata.

Oggi come concilia il suo impegno di docente con i numerosi spettacoli e progetti extrascolastici?

È semplicemente questione di organizzazione: grazie a un part time verticale riesco a fare entrambe le cose, dedicando parte della settimana alla scuola e parte agli altri impegni. Non ho mai abbandonato la mia attività di insegnante.

Ha mai pensato a una carriera nel mondo della ricerca?

Assolutamente no. Già quando ero studente universitario avevo la sensazione che il mondo della ricerca fosse incompatibile con la mia personalità, perché mi avrebbe portato a isolarmi, a chiudermi in un mondo di studio, mentre io ero all’opposto: all’epoca, ad esempio, avevo fondato il gruppo gospel con il quale, ancora oggi, organizzo esibizioni. Ho scelto senza indugi il percorso di didattica della fisica, sapevo che era la mia strada, cosa confermata anche da alcuni dei miei docenti di allora. Penso che anche la scelta della ricerca debba essere guidata da una forte motivazione, un “istinto” appunto.

Il nostro Paese vede ancora un numero di iscritti alle facoltà scientifiche inferiore ad altre realtà: pensa che questo sia imputabile a un modo sbagliato di insegnare queste materie a scuola?

L’orientamento alle materie scientifiche parte da molto presto, dalla scuola primaria, dove bisognerebbe privilegiare un approccio ludico, tramite esperimenti resi in forma giocosa, più che un approccio basato su nozioni e definizioni, maggiormente adatto a studenti delle medie o della scuola superiore secondaria. Detto questo, tutti abbiamo avuto docenti più o meno bravi ma, se l’apprendimento non funziona, non sempre è colpa di qualcuno, è un processo più complesso. Oggi, ad esempio, vediamo nelle classi studenti meno concentrati e meno reattivi, spesso protetti - quando non giustificati - dai genitori, cosa che non accadeva quando andavo a scuola io. Come insegnante, posto che la mia esperienza professionale è riferita al mondo del liceo, ho la sensazione che, comunque, qualcosa stia cambiando: mi scrivono tanti docenti per dirmi che hanno riprodotto in classe esperimenti che hanno visto sul mio sito o sui miei canali, forse in qualche modo “la fisica che ci piace” sta influenzando positivamente questa evoluzione.

Che studente era?

Attento e soprattutto organizzato; ho dovuto diventarlo molto presto, perché già dai tempi delle medie dedicavo il pomeriggio alla musica, l’altra mia grande passione, prima seguendo dei corsi, poi iscrivendomi al Conservatorio. Avevo poco tempo da dedicare allo studio a casa e per questo cercavo sempre di “portarmi avanti” seguendo attentamente le lezioni e organizzando al meglio il lavoro. Ricordo anche che ero più bravo nell’esposizione orale che negli scritti, già da giovanissimo mi piaceva parlare. E mi sono diplomato con il massimo dei voti.

La Fisica Che Ci Piace - La Lezione Show

La Fisica Che Ci Piace - La Lezione Show

Attualmente è impegnato nel tour della “La fisica che ci piace: la lezione show”, con repliche che toccheranno molte città italiane nell’arco dei prossimi mesi, cosa vedranno gli spettatori?

È uno spettacolo che unisce due componenti: didattica e, per l’appunto, show. I contenuti di fisica sono resi grazie a un maxischermo che funge ora da lavagna, ora da sfondo per le mie esibizioni, ma l’interazione da parte del pubblico è forte: quando spiego le onde, ad esempio, gli spettatori cantano. C’è molta musica, e si ride tanto. Il teatro permette di far vivere una parte di me che nella vita reale non compare spesso, una parte più spiritosa e ironica. Una cosa colpisce, ed è la composizione del pubblico, che è molto trasversale, dai bambini ai nonni. È davvero uno spettacolo per tutti.

E circa la sua esperienza in tv, vedremo ancora “La fisica dell’amore”?

Sono convinto di sì. È stato un progetto di grande successo, reso possibile anche grazie alla straordinaria autrice Annalisa Montaldo, che è riuscita a creare un inedito parallelismo tra la fisica e la vita, accostando le “certezze della fisica” alle “incertezze della vita”, per questo il pubblico lo ha amato. Per fare un esempio, nella puntata con il nuotatore Filippo Magnini il concetto scientifico di pressione è stato legato ai “carichi” che l’esistenza si porta dietro, e via così. Per me, poi, “La fisica dell’amore” ha rappresentato una nuova occasione di declinare la didattica attraverso un mezzo che non avevo ancora sperimentato, la televisione.

Lei è molto attivo anche sui social: nei suoi reel illustra fenomeni molto vari, evidenziandone la spiegazione scientifica. È davvero tutto “una questione di fisica”?

Beh, nel mondo materiale sì, la vita è fisica e conoscere i fondamenti di quest’ultima ci aiuta a vivere meglio. Ma ci sono ambiti in cui la fisica non può entrare ed è quando entrano in ballo i sentimenti, le scelte, i rapporti interpersonali, qui la ricerca di un equilibrio parte prima di tutto da noi stessi.

Prossimi progetti?

Al momento, in parallelo al tour, sto lavorando per riprendere un format che avevo già avviato sul mio canale You Tube, “La fisica di sera”, implementandolo con nuove idee e nuovi contenuti. In generale, sarà un 2025 ricco di sfide. 

In più occasioni lei stimola i giovani all’impegno, nello studio e nella vita. Quale augurio sente di fare ai giovani che oggi stanno affrontando un percorso di studi, magari orientato alla ricerca scientifica?

Vorrei augurare loro di essere creativi. La creatività è parte dell’animo umano e non ha a che vedere solo con il mondo artistico, scienziati come Einstein o Newton sono stati, a mio avviso, tra i più grandi creativi perché hanno saputo cogliere un’intuizione e applicarla all’interpretazione di fenomeni della realtà. Oggi, la creatività dei nostri giovani si misurerà nella capacità di immaginare un mondo più sostenibile, ad esempio meno dipendente dall’energia elettrica, visto che questa è una delle grandi sfide che dovremo affrontare in una società sempre più esigente dal punto di vista delle risorse. La sfida della transizione richiama alla mente la legge di Lavoisier secondo cui niente si distrugge o si crea, ma tutto si trasforma, un obiettivo che la mia generazione non ha preso in adeguata considerazione, ma oggi possiamo contare su una nuova consapevolezza.