Focus: Anniversario terremoto dell'Aquila

Identità appenninica in crisi

Terremoto
di Marco Ferrazzoli

Già prima delle scosse dell'Aquila e dell'Italia centrale, le zone montuose e collinari di Abruzzo, Marche e Lazio soffrivano di uno spopolamento pluridecennale. Le calamità rischiano di diventare il colpo di grazia. Ne parliamo con Michele Colucci, storico del Cnr e autore di diversi studi sulle migrazioni interne al nostro Paese

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I terremoti dell'Aquila e dell'Italia centrale rischiano di diventare il colpo di grazia per un'identità, quella appenninica, che già prima dei sismi soffriva una crisi evidente, in termini di spopolamento. Ne parliamo con Michele Colucci, storico dell'Istituto di studi sulle società del Mediterraneo (Issm) del Cnr, autore di diversi studi sulle migrazioni e mobilità interne al nostro Paese, tra cui un saggio dedicato alle migrazioni interne e all'abbandono delle aree montane ospitato in 'Riabitare l'Italia', a cura di Antonio De Rossi, edito da Donzelli.

“La storia della mobilità territoriale interna all'Italia dall'Unità ai nostri giorni segue percorsi e tipologie differenti, dalla richiesta di manodopera in ambito rurale allo spopolamento delle aree montane, un tema che ha accompagnato la storia economica e sociale di tutte le regioni italiane”, spiega Colucci. “È sufficiente sfogliare la ricerca su 'Lo spopolamento montano in Italia' promossa da Inea e Cnr negli anni Trenta per comprendere profondità e dimensioni della questione, che si sovrappone e confonde frequentemente con il tema più generale dell'esodo rurale rispetto a cui però, dagli anni '60 del secolo scorso, viene riconosciuta la specificità”.

Gli studi costruiti in base ai censimenti della popolazione italiana attestano una complessiva perdita di popolazione tra il 1951 e il 2011 da parte dei comuni montani. “Se tra il 1951 e il 2011 la popolazione italiana è aumentata di circa 12 milioni di unità, nello stesso periodo le aree montane hanno perso circa 900mila abitanti”, prosegue lo studioso. “L'esodo dalle montagne non è una novità della seconda metà del Novecento, ma negli anni dell'Italia repubblicana conosce un'accelerazione brusca, eccezionale nel ventennio 1951-1971 quando diviene prevalentemente definitiva, questo il dato innovativo del periodo, mentre prima era prevalentemente temporanea, se non stagionale”.

Le migrazioni del secondo dopoguerra sono orientate verso impetuosi processi di modernizzazione, urbanizzazione e industrializzazione. “Per chi si trasferisce nei piccoli e medi comuni della pianura, nelle grandi città o parte per l'estero lo spostamento rappresenta una svolta di carattere epocale: saranno in pochissimi – magari solo per la pensione – a rientrare”, precisa Colucci.

Al censimento del 1981 alcune zone di montagna iniziano a conoscere un'inversione di tendenza: lo spopolamento inizia a diminuire e in alcune zone a interrompersi. Una dinamica legata a vari fattori: ritorno degli emigranti, sviluppo delle piccole e medie imprese di carattere zootecnico e agricolo, turismo, crisi di attrattività delle grandi aree urbane. Diventa però sempre più evidente il divario tra una montagna economicamente sviluppata, diversificata e attrattiva, soprattutto nelle aree alpine e nell'Appennino settentrionale, e una dove non si intravedono segnali di ripresa a livello economico. L'analisi di Luigi Piccioni sul censimento è indicativa: “Nell'arco alpino si passa da un -2,2% del periodo 1961-71 a un +0,5% del 1971-81, nell'Appennino settentrionale da un -19,4% a un più contenuto -6,8%; analogamente, nell'Appennino meridionale il decremento si riduce dal -15,1% al -5,1%”.

Le zone montane e collinari colpite dai terremoti dell'Aquila, di Amatrice, di Arquata erano quindi già quelle che più faticosamente sostenevano un processo socio-economico e demografico che le rendeva estremamente vulnerabili. Il timore diffuso è che queste calamità possano rappresentare il colpo di grazia. In realtà i segnali che potrebbero mostrare un ripresa e una controtendenza non mancano, ma negli ultimi decenni sono stati appannaggio soprattutto delle aree alpine e meno di quelle appenniniche: integrazione tra allevamento e agricoltura di qualità, sviluppo di un turismo sostenibile, riequilibrio in termini di produzione e distribuzione della popolazione con le aree metropolitane, per citare solo alcuni processi virtuosi diffusi anche in Italia.

 

Fonte: Michele Colucci, Istituto di studi sulle società del Mediterraneo, tel. 081/6134086227 , email colucci@issm.cnr.it -