Focus: Immateriale

Soltanto parole?

Foto di scena Quarto potere
di Marco Ferrrazzoli

Viviamo nelle società della comunicazione, dove la conoscenza è il patrimonio più rilevante. In questa dinamica, immateriale eppure così sostanziale, bisogna tenere conto di alcuni processi. L'eccesso di messaggi circolanti, il logoramento del quale ha avvertito Liliana Segre in relazione al Giorno della memoria, la professionalità di coloro che confezionano e inviano le notizie, in primis dei giornalisti. Occorre una maggiore selezione, soprattutto nella comunicazione scientifica. In alcuni casi - novel food, normative su alcol e fumo, previsioni sul “Covid zero” - percepiamo invece dai media la medesima confusione e polarizzazione che ci aveva sconcertato durante la pandemia della Covid 19

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Siamo tutti d'accordo, o perlomeno ci sentiamo ripetere molto spesso, che viviamo in società della comunicazione, nella quale il possesso di conoscenze è il patrimonio più rilevante e in cui le informazioni rappresentano la moneta di scambio dei valori correnti. Proprio per questo si pone sempre più attenzione ai problemi inflattivi derivanti dall'eccesso di messaggio circolanti, oltre che al rischio di falsari che possono far circolare presunte notizie con intenti malevoli. Ma ci sono anche altri processi dei quali bisogna tenere conto in questa dinamica immateriale eppure così sostanziale per le nostre vite. Il primo è il logoramento contro il quale ha avvertito, con parole di grande efficacia mediologica, Liliana Segre in relazione al Giorno della memoria, che già dal nome evoca l'auspicio di far permanere nella coscienza comune il dramma della Shoah, degli orrori novecenteschi, del razzismo e più in generale di qualunque forma di discriminazione e di violenza. La senatrice a vita ha paventato il pericolo che proprio la doverosa ripetizione dell'invito a mantenere vivo il ricordo possa far insorgere reazioni di insofferenza e ridurre questo tema nodale a una riga pro forma dei libri di storia.

La sola ripetizione del messaggio, cioè, non basta. Anzi, talvolta è deleteria, se non si ha la capacità di tradurlo in modalità e su canali sempre nuovi e più vicini ai pubblici che si avvicendano, in particolare alle nuove generazioni, distratte dalla loro particolare abilità nell'uso dei dispositivi tecnici e quindi dalla valanga di messaggi che ricevono a ritmo ininterrotto. Qui entra in gioco un altro aspetto, la professionalità di coloro che confezionano e inviano le notizie, in primo luogo dei giornalisti, che appartengono a un ordine professionale deputato a tale scopo. Ordine che nei giorni scorsi ha celebrato il proprio sessantesimo compleanno e al quale ha rivolto un pensiero anche il Papa.

“Nel centenario della proclamazione di San Francesco di Sales come patrono dei giornalisti, preghiamo insieme perché possano sentirsi ispirati da questo santo della tenerezza, ricercando e raccontando la verità con coraggio e libertà”, ha scritto Francesco in un tweet sull'account Pontifex. Gli anniversari sono una convenzione, ma utile come spunto di riflessione. Il sessantesimo dell'Ordine dei giornalisti cade in un momento che non possiamo nemmeno dire di crisi, tanto il declino di tale professione è strutturale sul piano occupazionale, reddituale, di ruolo e di presenza nell’immaginario giovanile. Dobbiamo risalire ad almeno qualche decennio fa, a quando la digitalizzazione ha reso instabili e incerte le sorti della stampa, un fenomeno complesso e articolato ma ormai noto.

Intervista

L'occasione di sfruttare l’opportunità rivoluzionaria del web 2.0 e dei social network non è stata colta appieno dai giornalisti che, anziché aggiornare metodi e cultura di lavoro, introducendovi notizie qualità certificata, hanno soprattutto seguito la corrente dell'innovazione. Come una importante firma, che in un Festival del giornalismo culturale dichiarò: “Il web mi permette di scrivere quanto voglio, senza preoccuparmi delle misure”. Senza comprendere quanto così si assecondi il peggio delle reti, il trionfo del “parere”.

Ciò che è più importante, il giornalismo si dibatte nell'ambiguità di unica professione che non contempli un percorso formativo e il possesso di competenze e conoscenze precise, a differenza di  come accade per un medico, un avvocato, un ingegnere. Ancora di recente, il presidente dell'Ordine abruzzese confermava di avere molti iscritti con il titolo di scuola media inferiore. Questa ambiguità ossequia il mito del giornalismo “di strada”, un po' come se sostenessimo che non c'è bisogno di laurearsi in fisica o in ingegneria visto che Guglielmo Marconi ha ingegnerizzato il wireless senza completare gli studi universitari.

Perpetrare questa nostalgia equivoca porta a sfumare la distinzione tra comunicazione e informazione, fra una testata registrata e qualsiasi piattaforma web, fra un giornalista iscritto all'Ordine e un influencer (magari con maggior numero di seguaci). Il rischio è che la natura professionale del giornalismo si riduca a un mero associazionismo di categoria, a un corporativismo fuori moda. Si rifletta: medico, avvocato, ingegnere devono essere competenti, altrimenti il paziente muore, l'innocente viene condannato e la casa crolla; ma se una notizia è più o meno valida, non succede nulla.

Occorre infine che tutti noi si eviti di parlare e scrivere a getto continuo, magari soltanto per un commento estemporaneo sul fatto del momento, i cosiddetti Trend topics, senza alcuna conoscenza né competenza precisa. Recuperando il valore del silenzio, come spiegava Paul Watzlawick della Scuola di Palo Alto. Anche per assicurare il rispetto della riservatezza e non tirare in ballo persone che potrebbero venire danneggiate da quanto affermiamo.

Naturalmente gran parte delle nostre conversazioni orali e virtuali riguardano argomenti futili e affrontati con contenuti irrilevanti: concorrono quindi a creare un rumore di fondo fastidioso ma non particolarmente dannoso. Laddove invece una maggiore selezione e un più rigoroso controllo e autocontrollo delle fonti diventa più auspicabile è quando temi e interlocutori salgono di livello, come nella comunicazione scientifica. Già la pandemia ha denunciato l’insufficiente capacità del sistema composto da ricercatori, giornalisti, comunicatori, istituzioni e cittadini di convogliare i flussi informativi in messaggi chiari corretti e completi. In alcuni argomenti emersi di recente all'attenzione della cronaca - i cosiddetti novel food, le normative sul consumo di alcol e sul fumo, le previsioni relative alla pandemia e alla possibilità di arrivare a una situazione di “covid zero” - abbiamo invece percepito dai mass media la medesima impressione di confusione e polarizzazione che ci aveva sconcertato durante il periodo più concitato della Covid 19. Segno che la lezione ricevuta non è stata sufficiente.

Fonte: Marco Ferrazzoli, direttore Almanacco della Scienza, marco.ferrazzoli@cnr.it

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