Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo in “Civiltà Appennino” descrivono la dorsale che rappresenta una delle “piccole patrie” raccolte in Italia che necessita di essere scoperta in modo particolare, poiché “partecipa pienamente alla sorte comune del Belpaese” ma “soffre di più” anche se “sta provando a riorganizzarsi”. L'Appennino, infatti, soffre di una grave crisi identitaria cominciata con lo spopolamento, soprattutto dei centri minori, proseguita con la crisi economica e poi aggravata dai sismi abruzzesi e dell'Italia centrale, senza dimenticare i molti precedenti, a cominciare da quello devastante del 1980 (in merito si veda un altro volume edito da Donzelli, “Riabitare l'Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste”). “L'Appennino è il luogo della fuga e della precarietà dello svuotamento”, si legge in una delle pagine più meste. E soffre di una mancata presa di coscienza, dovuta al fatto che la visione diffusa dell'Italia è molto polarizzata sulla contrapposizione Nord-Sud, dimenticando altre dimensioni locali di non minore rilevanza: l'invito è quindi a “superare quella separatezza che l'Italia ha vissuto e vive tra un paese di polentoni e uno di terroni”.
Il libro inaugura una serie che è parte del progetto della Fondazione con sede a Montemurro in Basilicata, che ha proprio l'ambizione di essere nello stesso tempo affermazione di identità e ricerca di luoghi. L'esempio di Matera, luogo idealmente appenninico, “che da vergogna nazionale degli anni cinquanta ha saputo diventare capitale europea della cultura, ci può essere di stimolo”, osservano giustamente gli autori per far notare come la speranza di un recupero di questa dorsale non sia illusoria. Occorre però una visione della ricchezza della vita che non si limiti all'indice Dow Jones o al prodotto interno lordo, come gli autori ricordano citando Robert Kennedy da un discorso del 18 marzo 1968, qualche decennio prima che si cominciasse a parlare di “decrescita felice”.
È in Appennino, o ai suoi margini, che sono nate la codificazione della “Dieta mediterranea” e che si respirano quella “slow life” e quel “ben-essere” alla quale oggi si ispirano molte forme di imprenditoria, a partire dal turismo. Parliamo di un territorio ricco di verde, di parchi naturali e letterari, alpestre e boschivo, collinare e montuoso, costellato da “centri urbani arrampicati su colline e monta rozzi […] paesi generalmente piccoli e organizzanti intorno a un campanile sistemati in senso circolare intorno a un castello o a una piazza che occupa la parte più alta del posto”, con una biodiversità e un'agricoltura foriera di “prodotti sani, non avvelenati, capaci di allungare la vita o almeno di migliorare la salute”, dove “c'è un diverso valore del quotidiano. Più lungo, più lento, più profondo”, relativamente esente dai fenomeni malavitosi che hanno aggredito pesantemente altre aree nazionali, dalla cultura variegata ma uniforme e forte di una sua “peculiarità artistica e religiosa” (da Francesco d'Assisi a Gioacchino da Fiore, da Giacomo Leopardi a Ignazio Silone).
E poi, soprattutto, l'Appennino è “la spina dorsale dell'Italia”. Ma sono molto efficaci anche le espressioni, contenute nel volume, di “Terra che non è più Oriente e non è ancora Occidente, eppure li contiene entrambi” e di “Medio Occidente”, che fanno capire come il valore contenuto in questa dorsale vada ben oltre la sua limitata estensione geografica.
titolo: Civiltà Appennino
categoria: Saggi
autore/i: Nigro Raffaele, Lupo Giuseppe
editore: Donzelli
pagine: 140
prezzo: € 18.00