Il "digitale" è sulla bocca di tutti ed è citato in tutti i programmi. Essendo così pervasivo, è difficile attribuirgli un significato preciso. E' uno di quei temi che, a seconda dell'interlocutore e del contesto, assume ampiezze e sfumature diverse. Pertanto è utile inquadrare meglio il concetto partendo da cosa non è (più).
Prima di tutto, non è più semplicemente tecnologia, un tema per esperti, un campo specialistico. L'approccio tecnico ha avuto i suoi benefici, ha permesso l'incubazione di una serie di strumenti incredibili. E ancora li sviluppa alla frontiera, con novità come l'AI, il quantum, la realtà aumentata e virtuale. Il digitale non è più (e non deve essere) un linguaggio di pochi, rigido e divisorio, bensì un elemento che semplifica, raccorda e velocizza.
Non è più per "artigiani". La crescente complessità di infrastrutture e servizi, unita alla scarsità di competenze per gestirle, richiede di orientare le strategie verso strumenti e modelli organizzativi. Il lavoro e l'organizzazione cambieranno significativamente, seguendo cicli sempre più brevi, obbligando a una valutazione delle scelte sul medio-lungo periodo, concentrando le energie laddove sono maggiori la creatività e il valore.
Il digitale infine, non è più "paziente". È passato il tempo in cui la digitalizzazione era relegata a settori distanti dal contatto diretto con le persone: ora investe la quotidianità. Non accetta di essere ignorata, obbliga a fare i conti con cambiamenti in continua accelerazione. Per non essere travolti, è opportuno imparare a seguire la corrente, navigare, far fronte a nuovi ritmi e non affogare.