Focus: Meno

Verso l’autunno demografico

Anziana
di Silvia Perrella

La proiezione Istat vede l’Italia, nei prossimi 20 anni, con gli anziani che rappresenteranno il 34% della popolazione. Nel 2042 avremo quasi 2 milioni in più di persone con almeno 80 anni, con i supercentenari che triplicheranno rispetto a oggi. Se non verrà invertita la rotta della natalità, è previsto un calo di 5 milioni di abitanti

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L'ultima proiezione demografica Istat vede l’Italia, nei prossimi 20 anni, con gli anziani che rappresenteranno il 34% della popolazione totale. Nel 2042 avremo quasi 2 milioni in più di persone con almeno 80 anni, i super centenari triplicheranno rispetto a oggi. Sempre secondo i dati del nostro Istituto di statistica, se non verrà invertita la rotta della natalità, è previsto un crollo delle nascite che porterà nel 2050 a un calo di 5 milioni di abitanti, di cui circa 2 milioni di giovani.

“Dal 2014 la popolazione italiana sta diminuendo per effetto di una dinamica sempre meno in grado di garantire l’equilibrio demografico del Paese. Una perdita che ha raggiunto le 175mila unità nel 2019, ha superato le 400mila nel 2020 e lo scorso anno è stata ancora di 253mila unità”, spiega Corrado Bonifazi dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Questi ultimi due valori sono stati determinati dalla pandemia di Covid-19, che ha aumentato la mortalità, ridotto l’apporto delle migrazioni e causato un’ulteriore diminuzione della natalità. Prima del 2014, una popolazione in calo numerico si era registrata solo tra il 1916 e il 1918, ma quelli erano gli anni della Prima guerra mondiale e, alla fine del conflitto, anche dell’infuriare dell’epidemia di Spagnola. Tali tendenze rischiano di essere rafforzate dagli effetti di medio e lungo periodo del Covid-19, che hanno colpito duramente le condizioni di vita e le prospettive dei giovani, con ricadute sui progetti riproduttivi che rischiano di rivelarsi particolarmente pesanti e di perdurare nel tempo”.

Rispetto al cosiddetto “baby boom”, che registrò un aumento significativo delle nascite, il tasso di natalità ha cominciato a subire un calo e il fenomeno è proseguito nel tempo. “A partire dalla seconda metà degli anni ’70 il tasso di fecondità totale (Tft) italiano è sceso al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 figli e da almeno 30 anni presenta valori tra i più bassi del Continente”, ricorda il demografo. “La crisi economica del 2008 e quella del 2011 hanno colpito con particolare durezza l’Italia e gli altri Paesi mediterranei dell’Unione europea, determinando un netto calo del Tft dagli 1,46 figli per donna del 2010 all’1,25 del 2021. Del resto, sono stati proprio i giovani a risentire maggiormente della recessione, in un contesto come quello italiano che già non brillava per attenzione a una fascia d’età che per la riproduzione di una popolazione è evidentemente essenziale”.

Bambina

Ma quali sono le cause principali del forte calo di natalità, soprattutto nel periodo recente? “Ilnumero dei nati è sceso dalle 577mila unità del 2008 alle 399mila dello scorso anno. Una diminuzione che è il risultato combinato del calo della fecondità e della contemporanea riduzione delle donne in età riproduttiva”, prosegue l’esperto. “Oltre, quindi, a una minore propensione delle coppie a fare figli si è anche aggiunta una diminuzione del numero di donne tra i 15 e i 49 anni. Le nate tra la seconda metà degli anni ’60 e la prima metà dei ’70, ultimo periodo di alta fecondità, stanno infatti via via uscendo dalla fase riproduttiva per essere sostituite dalle generazioni, sempre meno consistenti, nate nella fase di forte calo della fecondità. Tra il 2008 e il 2021 si è infatti passati da 13,8 milioni di donne in età feconda a 12 milioni, con una perdita pari al 13,2% del totale. Il perdurare ormai quarantennale della bassa fecondità ci ha fatto ormai entrare in una trappola demografica, con l’inevitabile e vistoso calo nelle dimensioni delle nuove generazioni.

Attualmente abbiamo una delle percentuali più basse di giovani nella Ue e una delle più elevate di anziani e ultraottantenni. Uno stato di cose che contribuisce a favorire l’eccesso di morti sulle nascite e da cui derivano profondi cambiamenti nel modo di vita degli italiani e delle italiane. “L’aumento della quota di anziani ha sicuramente avuto effetti importanti sulla sostenibilità del sistema pensionistico e sanitario, ma le ha avute anche su altri aspetti fondamentali della nostra società, dal funzionamento del mercato del lavoro al rapporto tra generazioni a gran parte delle dinamiche sociali. In particolare, è cresciuto il peso degli anziani parzialmente o totalmente inabili sulla spesa pubblica e sulle famiglie: un onere che va a scaricarsi su generazioni sempre più scarne, su un numero minore di figli e continua a gravare soprattutto sulle donne”, conclude Bonifazi.

Fonte: Corrado Bonifazi, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali,
e-mail: corrado.bonifazi@cnr.it

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