Un universo ancora da esplorare
Tanti sono i passi avanti compiuti, grazie allo studio del funzionamento delle sinapsi e dei neuroni, nella comprensione dei meccanismi che regolano il consolidamento dei ricordi. Ma per capire le modalità cellulari alla base della stabilizzazione mnemonica è necessario compiere ancora ricerche, spiega Elisabetta Menna dell'Istituto di neuroscienze del Cnr e dell'Istituto clinico Humanitas
La memoria è fondamentale per la sopravvivenza dell'uomo, si può dire che siamo fatti di ricordi e che questi costituiscono le nostre radici e la nostra essenza, che in fondo siamo ciò che abbiamo vissuto. Dunque, i ricordi influiscono sul nostro presente, guidandoci. “La memoria può essere definita come la capacità del nostro cervello di registrare esperienze che lasciano un'impronta più o meno duratura. Questa traccia implica modifiche che alterano il nostro modo di agire e pensare in modo conscio o inconscio, e quindi il nostro comportamento”, spiega Elisabetta Menna dell'Istituto di neuroscienze (In) del Cnr e dell'Istituto clinico Humanitas. “Ad esempio, ricordare come si va in bicicletta a distanza di anni o imparare una lingua straniera sono entrambe attività che richiedono memoria, ma si tratta di memorie diverse: la prima è legata alle abilità motorie, la seconda ai suoni, ai significati delle parole. In comune hanno però il fatto di lasciare un'impronta e, quindi, di modificare il nostro comportamento, rendendoci diversi da ciò che eravamo prima di aver fatto quelle esperienze. Senza memoria non si impara, anche se l'apprendimento non dipende unicamente da essa”.
È fondamentale quindi che i nostri ricordi si consolidino, ma perché ciò avvenga sono necessarie alcune condizioni. “La stabilizzazione dei ricordi a lungo termine richiede plasticità delle sinapsi, ossia dei siti di contatto funzionale tra due cellule nervose. Numerosi sono i progressi compiuti nell'identificazione delle basi funzionali (elettrofisiologiche), genetiche e molecolari del consolidamento della memoria a lungo termine”, chiarisce la ricercatrice del Cnr-In. “Recentemente, inoltre, grazie alla possibilità di riconoscere i gruppi di neuroni che sono attivi nello stesso momento, si è potuto anche cominciare a studiare il funzionamento dei circuiti nervosi, cioè l'insieme di neuroni e sinapsi, delle diverse regioni del cervello che svolgono un ruolo essenziale per la formazione e la conservazione dei ricordi: l'ippocampo e la corteccia cerebrale.
In questo ambito della ricerca Menna evidenzia tre eventi chiave, verificatisi nella metà del XX secolo, che hanno stimolato l'avanzamento nello studio dei meccanismi molecolari dei processi mnemonici: “In primo luogo, alla fine degli anni '40, la formalizzazione della teoria di Donald Hebb, secondo la quale le memorie a lungo termine richiedono l'attivazione e il rafforzamento concomitante dei neuroni pre e post-sinaptici. In secondo luogo, l'identificazione da parte di Brenda Milner e colleghi, negli anni '50, che l'ippocampo, la parte del cervello situata nella regione interna del lobo temporale, è fondamentale per la formazione di ricordi espliciti, cioè ricordi di fatti ed episodi della propria vita di cui si ha consapevolezza e che, quindi, possono essere richiamati sia verbalmente che non verbalmente. Infine, nei primi anni '70, la scoperta di Tim Bliss e Terie Lomo che le sinapsi e il luogo dove avviene la trasmissione di un impulso nervoso da un neurone (neurone presinaptico) a un altro (neurone postsinaptico) sono in grado di modulare aumentando o diminuendo l'efficacia della trasmissione presinaptica e dell'eccitabilità post-sinaptica e che questo può servire come substrato per la memoria a lungo termine”.
Insieme, queste tre scoperte hanno supportato l'ipotesi che il potenziamento a lungo termine (Ltp), la depressione a lungo termine (Ltd) e, più in genere, i cambiamenti di efficacia dell'attività delle sinapsi possano fornire un meccanismo per acquisire e consolidare le memorie a lungo termine. “La comprensione del ruolo di Ltp e Ltd nell'apprendimento e nella memoria negli animali e nell'uomo sono stati oggetto di molte ricerche effettuate sui roditori, studi che hanno identificato i fattori chiave - geni, enzimi, componenti strutturali delle sinapsi e recettori dei neurotrasmettitori - alla base del consolidamento della memoria”, conclude Menna. “Abbiamo imparato moltissimo sui meccanismi cellulari e molecolari di questo processo, specie riguardo alla stabilizzazione delle memorie a lungo termine a livello della sinapsi. In particolare, adesso sappiamo che l'aumento del numero e le modificazioni morfologiche delle spine dendritiche (cioè il compartimento della sinapsi responsabile della ricezione dei segnali nervosi) sono essenziali per la formazione e per la stabilizzazione dei ricordi. Inoltre, molti dei fattori responsabili di questi cambiamenti delle sinapsi, ossia del numero e della forma delle spine dendritiche, sono stati identificati e studiati. Tuttavia, ci sono importanti domande sui meccanismi cellulari e molecolari del consolidamento delle memorie a livello dei circuiti che devono ancora trovare risposte”.
Fonte: Elisabetta Menna, Istituto di neuroscienze, e-mail: elisabetta.menna@in.cnr.it