Eventi calamitosi? È una vecchia storia...
Dall'archivio dei dati su frane e alluvioni, l'Irpi-Cnr ha elaborato la mappatura regionale per la valutazione del loro pericolo. Oltre 5.000 le vittime negli ultimi 50 anni
Le problematiche legate al rischio idrogeologico si presentano frequentemente e violentemente, come dimostrano gli eventi che in questi giorni hanno sconvolto vaste zone del territorio nazionale, causando pesanti danni e lutti. Ma questi problemi non sono una novità dei nostri giorni. Lo provano i dati raccolti dall'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpii) del Cnr di Perugia nel catalogo degli eventi di frane e inondazione con vittime, che copre l'arco temporale tra il 68 d.C. e il 2010.
"È un documento unico per la sua estensione di 1941 anni, compilato analizzando fonti archivistiche, scientifiche e cronachistiche", afferma Fausto Guzzetti, direttore dell'Irpi-Cnr. "Oltre che per conoscere le dinamiche degli eventi passati, queste informazioni sono utili per cercare di prevedere e mitigare gli effetti di quelli futuri".
Uno dei contributi fornito dai dati è la definizione dei livelli di rischio da frana e da inondazione a livello territoriale. "Il rischio sociale o collettivo, cioè quello che riguarda la comunità, è misurabile tramite la frequenza e l'intensità degli eventi dati e attraverso il numero di morti, dispersi e feriti provocati", spiega Paola Salvati, ricercatrice dell'Istituto. "Dall'analisi del periodo più recente, fra il 1960 e il 2010, emerge che in Italia sono state almeno 5.300 le vittime per frane registrate e quasi 1.700 quelle provocate da inondazioni".
In questi cinquant'anni tutte le regioni italiane hanno subito morti, dispersi o feriti. A detenere il triste primato sono Veneto e Trentino-Alto Adige, colpite da due eventi con effetti pesantissimi: rispettivamente, la frana sulla diga del Vajont del 1963, con oltre 1.900 vittime, e la colata di fango sull'abitato di Stava provocata dal cedimento dei bacini della miniera sovrastante, che determonò 268 morti.
Prescindendo da questi due casi, di evidente natura antropica, il rischio sociale da frana "è stato particolarmente alto in Campania (800 vittime in 215 eventi), Lombardia (257 in 80), Piemonte (200 vittime in 87 eventi) ed Emilia-Romagna (132 in 5 eventi)", prosegue la ricercatrice dell'Irpi-Cnr. "Le popolazioni meno colpite sono quelle di Abruzzo (13 vittime in 11 eventi), Molise (7 vittime in 3 eventi), Puglia (38 vittime in 10 eventi), e Umbria (39 vittime in 18 eventi)".
Fra le regioni esposte al rischio inondazione, tra quelle che hanno registrato il maggior numero di vittime, sono in testa la Toscana con 446 vittime in 54 eventi, il Piemonte (231 vittime in 74 eventi), la Campania (177 vittime in 59 eventi), la Liguria (89 vittime in 34 eventi) e la Sicilia (167 vittime in 61 eventi). Rischio più basso per Umbria (17 vittime in 8 eventi) e Basilicata (37 vittime in 10 eventi).
Gli elevati livelli di rischio in regioni così distanti e diverse ha varie ragioni. "In Campania", evidenzia Salvati, "si verificano frane superficiali, colate di detrito o fango in aree dove depositi di ceneri vulcaniche ricoprono rocce carbonatiche affioranti su ripidi pendii, ad esempio nelle zone circostanti il Vesuvio. Quando piogge di breve durata ed elevata intensità colpiscono queste aree producono piene improvvise e innescano grandi e diffusi movimenti di terra. Per le zone montuose del Nord, l'elevato rischio è legato invece alla combinazione di più tipologie di frane veloci: i frequenti rilievi montuosi e i potenti affioramenti di rocce favoriscono crolli, scivolamenti e valanghe di roccia, tipologie di frane molto pericolose per la loro alta velocità. Il Settentrione comprende inoltre due tra i più ampi bacini idrografici italiani, il Po e l'Adige, dove le inondazioni sono molto frequenti. In Piemonte gli eventi avvengono principalmente lungo i fiumi maggiori, mentre in Liguria, Sicilia e Toscana lungo aste torrentizie corte e molto ripide, prospicienti le zone litoranee".
"Di fronte alle ultime catastrofi, è necessario avviare con urgenza un'attenta pianificazione del territorio, in particolare per gli interventi edilizi e i disboscamenti che contribuiscono ad aggravare il dissesto idrogeologico", conclude Guzzetti. "Occorre inoltre un adeguato sistema di previsione e prevenzione per la mitigazione del rischio. È un investimento importante per la difesa delle vite umane e dell'ambiente".
Fonte: Fausto Guzzetti, Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica, Perugia, tel. 075/5014402 , email fausto.guzzetti@irpi.cnr.it - Paola Salvati, Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica, Perugia , email paola.salvati@irpi.cnr.it -