L’Italia degli tsunami
Tra gli eventi naturali più catastrofici per vittime e distruzioni prodotte ci sono i maremoti, la cui storia in Italia è rilevante, a partire da quello del 1627 al largo del Gargano. Lo ricorda Andrea Billi dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria, coordinatore scientifico del progetto Seismofaults 2017
Sono poco attenzionati dagli abitanti delle coste italiane, che li percepiscono come un rischio possibile ma poco probabile per la loro scarsa frequenza, eppure la storia dei maremoti italiani è rilevante. “Prima del catastrofico tsunami dell’Oceano indiano del 26 dicembre 2004 (circa 230.000 morti), molti in Italia erano completamente a digiuno della storia degli tsunami italiani. L’ultimo significativo si è verificato nel 2002 a Stromboli: un’eruzione vulcanica era in corso da tale vulcano quando la ripida Sciara del Fuoco (il fianco nord-occidentale), appesantita dalla nuova eruzione, franò improvvisamente in mare sollevando un’onda di alcuni metri di altezza. L’onda si abbatté sulle coste dell’isola ed in parte sulle coste siciliane presso Milazzo”, spiega Andrea Billi, dirigente di ricerca dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria e coordinatore scientifico del progetto Seismofaults 2017.
La Sicilia e la Calabria sono probabilmente le regioni italiane più sismiche ed esposte agli tsunami, anche per l’estensione delle coste. “Il più devastante in Italia si verificò dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria del dicembre 1908. Pochi minuti dopo la scossa una grande onda si abbatté sulla costa orientale siciliana e su quella meridionale calabrese, con una capacità di risalita delle coste stesse fino a circa 12 metri nella zona di Giardini Naxos”, ricorda il ricercatore. “I due eventi causarono più di 80.000 vittime. Questo maremoto è stato recentemente oggetto di studi e pare che la sua causa sia stata, almeno in parte, una frana sottomarina indotta dal terremoto stesso”.
Ma andando a ritroso, già altri maremoti si erano manifestati a largo delle coste meridionali, a partire dal fenomeno del Gargano, nel 1627. “Lo tsunami seguì un violento terremoto (XI° della scala Mercalli) con probabile epicentro nei pressi di San Severo (Capitanata). Colpì violentemente la costa fino a Termoli, verso nord, e fino a Manfredonia, verso sud”, racconta Billi. “L’evento accadde il 30 luglio alle ore 11.00 circa: all’epoca dei fatti, fortunatamente, le coste non erano frequentate come lo sono oggi nelle mattinate estive, per tale motivo le vittime furono relativamente poche”.
Effetti del maremoto di Messina del 1908
Solo 66 anni dopo, nel 1693, a largo della Sicilia orientale, la catastrofe si replicò col sisma forse più violento dell’era moderna in Italia. “In realtà, furono due terremoti violenti (il 9 e l’11 gennaio), a cui seguì una sequenza sismica in Val di Noto. Il fenomeno rase al suolo gran parte delle province di Ragusa e Siracusa. La ricostruzione successiva diede vita al magnifico Barocco siciliano dei Monti Iblei. Anche in questa occasione un violento tsunami si abbatté sulle coste orientali della Sicilia, in particolare nelle zone di Catania e Augusta, dove provocò danni al Monastero di S. Domenico”, continua l’esperto. Vale la pena riportare l’eloquente descrizione di un testimone oculare del maremoto catanese dell'11 gennaio 1693: "Vide che alle due mezza improvvisamente rovinò tutta la città con la morte di più di 160 persone e che durante il terremoto si era ritratto il mare di due tiri di schioppo e per la risacca conseguente aveva trascinato con se tutte le imbarcazioni che erano ormeggiate in quell'insenatura […] State certi che non c'è penna che possa riferire una tale sciagura” (Lucia Trigilia, 1693 - Illiade funesta - La ricostruzione delle città del Val di Noto, Palermo, Arbaldo Lombardi, 1994).
Seguì, neanche un secolo dopo, lo tsunami presso Scilla, in Calabria meridionale, sicuramente indotto da una frana. “Il 1783 fu caratterizzato da un’energica sequenza sismica. Il 6 febbraio, un terremoto innescò un’imponente frana lungo il versante del Monte Paci; la frana stessa scivolò in mare sollevando una violenta onda di tsunami che si abbatté sulla spiaggia di Scilla, dove molti abitanti avevano trovato rifugio subito dopo la scossa sismica. Lo tsunami provocò circa 1.500 morti e la relativa onda riuscì a risalire la costa per quasi 10 m di quota”, precisa Billi.
I casi riportati dimostrano e confermano che il rischio da maremoti in Italia, malgrado non particolarmente frequente, è comunque elevato. “Nel corso del tempo le comunità costiere italiane sono molto cresciute in termini di insediamenti, edificazioni, infrastrutture, viabilità, con un popolamento spropositato delle aree turistiche costiere nei mesi estivi, soprattutto le spiagge nelle ore diurne. Dunque, un evento di maremoto in piena estate, durante il giorno potrebbe provocare un’enorme perdita di vite umane, come accadde nel dicembre 2004 nell’Oceano indiano”, conclude Billi. “È dunque necessario avvisare e istruire a dovere le comunità costiere e i turisti dei rischi connessi agli eventi sismici e/o tsunamigenici e impartire indicazioni opportune per mitigare le conseguenze”.
Fonte: Andrea Billi, Istituto di geologia ambientale e geoingegneria, e-mail: andrea.billi@cnr.it