Costruire con la luce
La lavorazione del vetro nelle chiese gotiche esalta questo materiale. I ricercatori dell'Istituto di scienze del patrimonio culturale e dell'Istituto di fisica applicata del Cnr, grazie a strumenti ad alta tecnologia, ridefiniscono relazioni commerciali legate a reperti archeologici vitrei fin dall’età del bronzo e svelano i segreti degli artigiani medievali che lavorarono per le grandi cattedrali
Le vetrate istoriate delle cattedrali gotiche, autentiche "pitture di luce", avvolgono il fedele in un’atmosfera vibrante e contemplativa. La luce, segno visibile della presenza divina, è l’elemento guida del rivoluzionario paradigma costruttivo nordico che conferisce slancio e verticalità alle strutture portanti, per simboleggiare l’anelito all’unione con Dio. Un rinnovamento intrapreso già nel 1144, allorché Suger, abate di Saint Denis in Francia, fece realizzare quattordici monumentali finestre che diffondevano una variegata luminosità e guidavano il fedele lungo il deambulatorio della basilica.
La dimora di Dio in terra traduceva l’immagine della Gerusalemme Celeste, descritta nell’Apocalisse di San Giovanni "come una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino”. La simbologia del divino associato alla luce, è del resto già sviluppata negli scritti del V secolo d.C. dello Pseudo-Dionigi l’Aeropagita, nonché ripresa in epoca medievale da Tommaso d’Aquino e Ugo di San Vittore.
Vetro verde chiaro di una rosetta a quattro petali della vetrata “Santi francescani e papi", Basilica di Santa Croce (Copyright Archivio dell'Opera di Santa Croce); sezione stratigrafica con una sovrapposizione di sei strati alternati di giallo e azzurro a diversi spessori (Copyright Ispc-Cnr)
La nuova "estetica architettonica" portò al grande sviluppo dell’arte della vetreria in tutta Europa, in grado di mettere a punto nuove tecniche di colorazione, come il placcaggio, la grisaille e il cosiddetto giallo d’argento. Non meno importante fu la fantasia compositiva nella creazione di storie e motivi ornamentali. La Sainte Chapelle a Parigi, realizzata tra il 1243 ed il 1248, è una delle testimonianze più alte del nuovo gusto. Nelle vetrate, le immagini sacre attraversate dalla luce prendono corpo.
Tali manufatti richiedono una particolare attenzione conservativa e un apporto considerevole in tal senso proviene dagli studi e dalle pubblicazioni del Corpus Vitrearum Medii Aevi (Cvuma), a cura di un’associazione fondata nel dopoguerra che ha esteso la sua attività a quattordici nazioni europee oltre a Canada e Stati Uniti.
“L’archeometria applicata allo studio di questa classe di materiali si focalizza su questioni connesse alla datazione dell’opera, all’individuazione di stili e tecniche, alla determinazione delle microstratigrafie dei vetri e della loro composizione chimica in relazione alla cronologia della loro produzione, alla tecnologia e all’ambito di produzione”, spiega Donata Magrini dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Consiglio nazionale delle ricerche. "Le scienze applicate coadiuvano l’intervento di restauro, fornendo un supporto nella scelta del metodo e dei prodotti di pulitura e di consolidamento. Il degrado si può presentare sotto varie forme, sotto l’influenza diretta di alcune condizioni ambientali come l’umidità, la temperatura, fattori inquinanti esterni".
Un team del Cnr-Ispc, in collaborazione con l’Istituto di fisica applicata "Nello Carrara" (Ifac), ha condotto diversi studi sulle vetrate medievali. Tra le opere esaminate, due bifore attribuite al Maestro di Figline, situate nella Cappella Bardi della Basilica di Santa Croce a Firenze, datate tra il secondo e il terzo decennio del XIV secolo. “In quel contesto fu evidenziata la presenza di un vetro verde particolarmente brillante, che risultò essere realizzato con la sovrapposizione di vari strati di giallo e di azzurro. Un caso molto raro e indice di una tecnica di lavorazione complessa, quella dell’’incamiciatura’ per strati che generalmente si riscontra solo nei vetri rossi proveniente d’Oltralpe. Questo vetro, che di strati ne ha ben sei, è un caso unico in Italia, la cui scoperta è di estrema rilevanza”, continua la ricercatrice.
Materiali vetrosi dal sito perilacustre di età protostorica di Paduli (Colli sul Velino, Ri)
I manufatti in vetro, per le particolari qualità compositive e cromatiche, fin dall’antichità hanno sempre suscitato grande interesse e popolarità, finendo per diventare oggetto di scambi commerciali a lunga distanza. La lavorazione è testimoniata da reperti quali monili, porta unguenti, ampolle, rinvenuti nelle sepolture.
Silvia Vettori ed Emma Cantisani del Cnr-Ispc si sono occupate delle analisi scientifiche sui materiali vetrosi, come piccole perle anulari in diverse varietà di blu e verde acqua, e in ambra, scoperti nel sito perilacustre di età protostorica di Paduli, in località Colli sul Velino (Ri). “L’approccio metodologico per le indagini archeometriche, condotte in collaborazione con l’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr, ha previsto l’impiego di tecniche non invasive e micro-distruttive. Le informazioni ottenute consentono di ampliare il quadro conoscitivo dei meccanismi di produzione e circolazione di tali manufatti in queste aree interne dell’Appennino centrale che su base tipologica sembrano, in parte, orientare verso l’area polesana, così come per l’ambra”, spiegano le ricercatrici.
In archeologia, i materiali vetrosi si legano a una lunga tradizione di studi secondo la quale il più antico artigianato andrebbe collocato nel Vicino Oriente e in Egitto, da dove, a partire dal 4.000 a.C., si sarebbe progressivamente diffuso per tutto il Mediterraneo. Tuttavia, recenti studi basati su analisi scientifiche ridimensionano la tradizione relativa all’origine orientale del vetro a favore di una lettura più policentrica, connessa a più centri di produzione. “In questa direzione uno straordinario risultato è stato raggiunto da un gruppo di ricerca del Dipartimento di scienze della terra dell’Università di Milano, al quale hanno partecipato anche ricercatori del Cnr-Ispc”, chiarisce Massimo Cultraro ricercatore e archeologo dello stesso Istituto. “Una vasta campagna di indagini archeometriche, avviata nel 2000 e ancora oggi in corso, ha come oggetto l’analisi materica di manufatti in vetro della Penisola italiana, in un ampio arco cronologico compreso tra il II millennio a.C. e le soglie della colonizzazione greca”. I risultati finora conseguiti sono sorprendenti. “La combinazione di indagini chimiche tramite diffrazione a raggi X e l’impiego di immagine computerizzata ha permesso di identificare una classe di oggetti ad alcali misti documentata nell’Italia settentrionale nel corso dell’età del bronzo medio e recente (1600-1350 a.C. circa): perle per collane e altri ornamenti personali risultano essere stati prodotti proprio in Italia, forse a seguito dei primi contatti commerciali con la marineria egeo-micenea”.
Per la riproduzione fotografica dell’opera del FEC, vetrata “Santi francescani e Papi, attribuita al Maestro di Figline, custodita nella Basilica di Santa Croce in Firenze, si ringrazia la Direzione Centrale degli Affari dei Culti e per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, in qualità di soggetto
proprietario.
Fonte: Donata Magrini, Emma Cantisani, Silvia Vettori, Massimo Cultraro, Istituto di scienze del patrimonio culturale, e-mail: donata.magrini@cnr.it , silvia.vettori@cnr.it, emma.cantisani@cnr.it, massimo.cultraro@cnr.it