Saggi

Imprenditori giullari e politici social

di M. F.

Come sono cambiati il management aziendale e la leadership politica? E come continuano a cambiare nel momento in cui i social network consentono di seguire, anziché costruire, il consenso? Ne parlano due libri diversi ma complementari, dello psicologo Manfred F. R. Kets de Vries e del professore di informatica giuridica Giovanni Ziccardi

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“Più leader conosco più trovo difficile indicare uno stile di leadership veramente efficace” ammette Manfred F. R. Kets de Vries, psicologo e docente di Gestione delle risorse umane, in “Leader giullari impostori”, nonostante gli anni di studi sul tema e l'esistenza di manuali come l'“Handbook of Leadership” di Bernard Bass che è stato il testo di riferimento per lo meno nelle edizioni dal 1978 al 2009. Il problema è nato man mano che il modello trasformazionale delle “quattro I” (Intellectual Stimulation, Individualized Consideration, Insperiational Motivation e Idealized Influence) è stato soppiantato dalle leadership 2.0, 3.0, 4.0, etc. Cioè dagli influencer e dai loro follower, legati – lo vedremo tra poco – da un filo che è più tecnologico che di contenuto. Si conquista autorevolezza in base alla capacità di utilizzare i mezzi di comunicazione di massa. In parte è sempre stato così, basti pensare alle dittature del XX secolo o ai grandi partiti novecenteschi, ma i new e social media hanno scompaginato le carte, confuso il quadro, aperto potenzialmente lo sportello del sedile di guida a chiunque.

Come psicoterapeuta, l'autore è interessato soprattutto a fugare la convinzione che “gli approcci razionali” siano il presupposto del comando, che si possano “guidare degli esseri umani unicamente per mezzo di metodi organizzativi basati sulla logica e sulla ricerca dei risultati”. Elementi di fascinazione, appealing, carisma, dunque emotivi, hanno e hanno sempre avuto un ruolo determinante nella capacità di condurre quelle che un tempo chiamavamo “masse”. Anzi, i sentimenti irrazionali dei leader possono “pervadere di sé l'intera cultura e le strutture manageriali dell'impresa”, poiché i limiti della razionalità non investono solo le simpatie politiche ma anche le scelte imprenditoriali, dove se non intervenisse un pensiero divergente, per esempio il narcisismo o il gusto del rischio e della competizione, avremmo la stasi. “Leader giullari e impostori” è anzi diretto principalmente a studiosi e consulenti aziendali, di management e di risorse umane. Ma la constatazione che l'ambizione e l'esercizio del potere possano “diventare una specie di droga” non tranquillizza affatto Kets de Vries, che avverte per esempio dei rischi legati alle leadership incapaci di riconoscere i propri sentimenti, i propri fallimenti, il senso del limite, di reggere lo stress, controllare impulsi e persino di dare notizie sgradite. Il guizzo creativo che contraddistingue il talento e il genio del comando, aziendale e non (Freud diceva che l'individuo “normale” è in grado solo di “amare e lavorare”), lambisce insomma sempre il “pericolo di patologia”. Per non parlare poi dell'impostore in senso stretto, cioè di chi assume un comportamento manipolatorio perseguendo un fine personalistico contrabbandato come obiettivo comune.

Questo comporta che l'equilibrio del potere, indispensabile per traguardare risultati di ampio respiro, sia spessissimo minato dal germe dell'auto-distruzione. E che alla leadership autorevole faccia sempre più facile concorrenza la mera persuasione: se poi le tecnologie consentono di aumentare a dismisura i messaggi in circolazione a tale pericolo si aggiunge una confusione che lo amplifica: la velleità e la vanità cui in molti siamo inclini possono prevalere sulla vera leadership che, avverte nella prefazione italiana Gian Piero Quagliano, “è esattamente il contrario: è rendere disponibile il proprio potere, metterlo in circolazione”

Il testo, va detto in conclusione, è di venticinque anni fa: ben prima che le fake news e i fake leader assumessero la rilevanza odierna. Il testo di Giovanni Ziccardi “Tecnologie per il potere” è invece pienamente inserito in questo contesto. Professore di informatica giuridica, l'autore prende di petto i social network rispetto al far politica, abbinamento ormai evidente in tutto il mondo, avvertendo il lettore del contrasto tra la fragilità dell'ambiente digitale e la solidità che la politica tradizionale dovrebbe assicurare: non si tratta solo quindi delle disinformazioni o dell'hating circolanti via Facebook, Twitter o WhatsApp, ma delle competenze tecniche e di analisi dei dati che dai margini della vita politica sono ora invece collocate al centro.

Un nuovo e potentissimo mezzo del quale prevedere l'evoluzione tecnologica futura è assai rischioso: per ora, nonostante “l'attenzione legislativa ai diritti dei soggetti” ottenuta “grazie all'entrata in vigore nel 2016 del Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr)”, l'impulso digitale rilasciato online dall'elettore è già utilizzato e diventerà ben presto più importante “del suo essere fisico in società”; la possibilità di analizzare e raccogliere solamente i dati che interessano all'analista escludendo il cosiddetto “rumore di fondo” diventerà per chi si occupa di opinione pubblica più affascinante della ricerca di posizioni nuove o dell'arte della persuasione politica, intesa come il tentativo di far cambiare idea a un oppositore. In sostanza, usando i social network come ambiente di test si può permettere a un partito di seguire (anziché costruire) linee politiche senza dubbi e profili di incertezza, con riferimento a quelle che già sono le opinioni e percezioni espresse, al fine di adattarvisi e raccogliere il consenso conseguente, magari abbandonando “la discussione su un argomento specifico” nel momento stesso in cui quella battaglia non è più d'interesse. Una politica contingente, di incasso immediato, senza prospettive a lungo termine ma gratuita, bisognosa di minimi investimenti rispetto ai mezzi di persuasione e adesione di un tempo e senza quasi rischi di errore.

“Sullo sfondo si nota ormai chiaramente l'ombra degli algoritmi”, osserva Ziccardi: finora la politica tecnologica è stata un “fai da te”, talvolta drogato da fake news, troll, finti profili, bot e messaggi d'odio, a danno della riflessione e a vantaggio di uno scontro polarizzato, semplificato e aggressivo che non è più prerogativa di formazioni estremiste, basti vedere come “negli studi televisivi i politici osservano, durante i talk show, lo smartphone o il tablet mentre gli avversari parlano”. E c'è già chi in diverse parti del mondo propone di creare piattaforme deliberative tecnologiche per sostituire il processo democratico tradizionale: una tecnologia che garantisca trasparenza, lealtà, equilibrio, regole è quindi indispensabile a evitare il controllo discrezionale e arbitrario delle tecnologie e ad assicurarne un uso etico, evitando una “iperdemocrazia” o un “fascismo digitale”, per usare l'espressione dell'autore.

Dalla democrazia alla post-democrazia, al populismo della smobilitazione e dell'infantilizzazione? Al conformismo e “della degradazione della verità a semplice opinione”?  Allo “svuotamento dei contenuti della politica”, riempita dalla spettacolarità e dall'emotività, e “all'autocrazia elettiva”? Questo il fantasma paventato da “Tecnologie per il potere” che richiama gli analoghi timori di tanti osservatori come Giovanni Rodotà e Remo Bodei.

 

 

titolo: Leader giullari impostori
categoria: Saggi
autore/i: de Vries Kets 
editore: Raffaello Cortina
pagine: 270
prezzo: € 16.00

 

titolo: Tecnologie per il potere
categoria: Saggi
autore/i: Ziccardi Giovanni  
editore: Raffaello Cortina
pagine: 250
prezzo: € 16.00

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