Il cyberbullismo ai tempi del Covid-19
Gli adolescenti sono sempre connessi a Internet e il lockdown ha favorito questa tendenza, spostando ancor più il problema del bullismo sul web. Allontanare i ragazzi dalla tecnologia è però sbagliato, spiega Anna Vaccarelli dell'Istituto di informatica e telematica del Cnr. Il "male" non è nel mezzo che usiamo ma nelle persone che stanno dietro le tastiere e che ne fanno un uso scorretto. Bisogna imparare a riconoscerle
Come emerge dalla ricerca “L'adolescenza ai tempi della pandemia” condotta da Skuola.net e dall'Università degli Studi di Firenze, rispetto a gennaio 2020, gli adolescenti che affermano di “essere sempre connessi” sono passati dal 7% al 25%; coloro che indicano di trascorrere on line dalle 5 alle 10 ore al giorno, dal 23% al 54%. Inoltre, la percentuale di adolescenti che affermava di connettersi “raramente” (il 4% nel gennaio 2020) oggi si azzera del tutto.
“Se da un lato l'impossibilità di incontrarsi ha sottratto molti ragazzi a episodi di bullismo, dall'altro la maggiore permanenza on line ha favorito l'aumento dei casi di cyberbullismo”, afferma Anna Vaccarelli dell'Istituto di informatica e telematica (Iit) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Nei mesi scorsi la Fondazione Carolina - associazione che opera contro i fenomeni illegali sul web, fondata da Paolo Picchio in nome della figlia, prima vittima di cyberbullismo in Italia - ha ricevuto segnalazioni più numerose rispetto alla media e riporta che, di 247 casi segnalati nel mese di aprile, 121 sono avvenuti tra ragazzi (49%) e 89 verso i docenti (36%); si sono poi registrati 9 episodi di sexting, 4 di revenge porn, 27 di gruppi Telegram in cui vengono diffuse immagini di minori, uno di adescamento”. Probabilmente però questa è solo la punta dell'iceberg, come confermano molti fatti riportati dalla cronaca. “La spiegazione immediata che siamo portati a dare è che tanti abbiano agito per scaricare la tensione e combattere la noia di giornate trascorse in casa, pensando magari di fare dei semplici scherzi”, continua Vaccarelli. “Ma ammesso che sia vero, è sbagliato avallare tali comportamenti e in qualche modo giustificarne i protagonisti”.
Il problema del cyberbullismo, come quello del bullismo, va affrontato prima di tutto da un punto di vista culturale. “Gli atteggiamenti violenti verso il prossimo sono sbagliati e vanno condannati. Il cyberbullismo, in più, richiede un'azione di cultura digitale, bisogna cioè rendere consapevoli bambini, ragazzi, insegnanti e genitori nell'uso della Rete, in modo che ciascuno abbia chiaro l'effetto delle sue azioni e possa individuare le contromisure per reagire”, afferma Vaccarelli. “Agli adulti bisogna fornire competenze e strumenti per capire e per intervenire su questi fenomeni, competenze e strumenti sia tecnici sia giuridici, almeno in forme basilari. Come insegnanti o genitori bisogna tenere sempre alta l'attenzione a cogliere qualunque sfumatura nel comportamento dei ragazzi, ma anche essere in grado di capire come si sta realizzando l'azione, attraverso quali canali”.
È necessario, perciò, conoscere la Rete, che non è uno spazio senza regole i suoi meccanismi, il funzionamento dei social e delle chat. “Esistono ferree norme tecniche che fanno funzionare il web e, nel suo utilizzo, valgono comunque le regole del vivere civile, come in qualunque ambiente sociale. La conoscenza della Rete per saperla usare e la consapevolezza che un comportamento sbagliato resta tale anche on line metterebbero i ragazzi in grado di usare più correttamente e proficuamente Internet”, conclude Vaccarelli. “Demonizzare il web e allontanare i ragazzi dalla tecnologia è sbagliato: non risolve un problema che nasce fuori. Internet ha moltissimi lati positivi, come è stato evidente in questi mesi di lockdown. Ci sono tuttavia anche aspetti negativi: il cyberbullismo è uno di questi, insieme alla diffusione di bufale, all'hating speech o alla diffamazione. Ma, come sempre, il male non è nel mezzo che usiamo ma nelle persone che stanno dietro le tastiere e che ne fanno un uso sbagliato o scorretto. Bisogna imparare a riconoscerle per evitarle e isolarle e, quando è il caso, segnalarle alle autorità, prima tra tutte la Polizia postale”.
Fonte: Anna Vaccarelli, Istituto di informatica e telematica, Pisa, tel. 050/3152635 , email anna.vaccarelli@iit.cnr.it -