Focus: Guerra

Armi chimiche? Il pericolo è il terrorismo

Trincea prima guerra mondiale
di Alessia Cosseddu

Cosa sono le armi chimiche? Sono ancora una minaccia in uno scenario di guerra? Ci aiuta a fare chiarezza Matteo Guidotti, ricercatore dell'Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del Cnr di Milano e membro del Consiglio scientifico consultivo dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche dell’Aia

 

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Per “arma chimica” si intende qualsiasi sostanza che, tramite i suoi effetti sui processi vitali, può causare morte o incapacità, temporanea o permanente, a uomini e animali. In questa definizione, riportata nel testo della Convenzione sulle armi chimiche (Cwc, Chemical weapons convention), siglata a Parigi nel 1993 e attualmente in vigore in 193 Paesi del mondo (praticamente tutti, tranne Corea del Nord, Sudan del Sud, Egitto e Israele), viene posta l’attenzione sugli effetti tossici diretti che un un’arma deve possedere per essere classificata in tale categoria.

Il primo esempio dell’era moderna di utilizzazione di sostanze chimiche per scopo bellico risale alla Prima guerra mondiale. Si trattava di gas che provocavano violenti attacchi alle vie respiratorie. Nell’aprile del 1915, durante la seconda battaglia di Ypres, i tedeschi usarono per la prima volta una sostanza chimica di elevata letalità: il cloro. Fu sempre la Germania a sviluppare per prima un prodotto dalle prestazioni più “soddisfacenti” in termini di effetti sulle truppe nemiche: il gas mostarda, un vescicante che fu utilizzato per la prima volta nell’ottobre del 1917 nella terza battaglia di Ypres, da cui prese il nome universalmente conosciuto di Iprite.

E oggi? “Che un aggressivo chimico sia impiegato in un contesto bellico classico è ormai abbastanza difficile. La Convenzione Cwc, infatti, non solo vieta l’uso, lo sviluppo, la produzione, la detenzione e il traffico di armi chimiche, ma impone anche la distruzione di scorte eventualmente già esistenti in giro per il mondo come residuato dei conflitti passati", spiega Matteo Guidotti dell'Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” (Scitec) del Cnr di Milano, membro del Consiglio scientifico consultivo dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) dell’Aia (Paesi Bassi). "A meno di piccole produzioni clandestine, è poco probabile che uno stato sovrano disponga ancora oggi di arsenali chimici tali da poter essere impiegati in guerra. Ma soprattutto, due eserciti che si affrontano in un conflitto convenzionale posseggono entrambi contromisure adeguate in termini di strumenti di allarme, sistemi protettivi (tute, guanti, maschere, filtri, respiratori) e apparati di decontaminazione, che renderebbero l’efficacia tattica di un aggressivo chimico sicuramente inferiore a quella che si avrebbe con armi convenzionali. Lo scenario bellico è radicalmente cambiato rispetto a un secolo fa, studi condotti negli anni ’80, nel periodo finale della guerra fredda, avevano già dimostrato come l’uso di proiettili di artiglieria caricati con agenti tossici fossero fino a sette volte meno efficaci di armi da fuoco convenzionali contro un avversario correttamente equipaggiato e difeso”.

È invece tutt’altro che trascurabile il rischio che un’arma chimica possa essere utilizzata per scopi terroristici. “Il rilascio deliberato di una sostanza altamente tossica contro una popolazione civile inerme e impreparata non solo causerebbe danni notevoli in termini di numero di vittime e di ampiezza di aree contaminate, ma avrebbe un impatto mediatico e psicologico rilevante, amplificando  proprio quegli effetti di panico e di sensazione di impotenza che sono lo scopo ultimo dei terroristi”, spiega Guidotti. "Lo si è visto nell’attacco terroristico nella metropolitana di Tokyo nel 1995, in cui è stato impiegato l’agente nervino sarin per causare 13 morti e più di 6.000 intossicati, e nella guerra civile in Siria, in cui si sono registrate, tra il 2016 e il 2018, centinaia di vittime causate da ordigni in grado di liberare cloro, utilizzato per molti scopi industriali, ma altamente asfissiante e tossico se utilizzato contro persone non protette”.

Negli anni scorsi, Matteo Guidotti è stato anche coordinatore del progetto "Nanocontrachem" patrocinato e finanziato dalla Nato, per lo sviluppo di nuovi polveri per la decontaminazione da sostanze chimiche altamente tossiche.

NanoContraChem per la decontaminazione ambientale

Gli stati firmatari della Convenzione Cwc si sono impegnati a creare l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac o Opcw), un organismo sovranazionale con sede all’Aia, il cui scopo è, dal 1997, monitorare la produzione, il trasporto e il commercio di sostanze altamente tossiche o potenzialmente utilizzabili per la sintesi di armi chimiche, controllare la distruzione degli arsenali chimici dichiarati, organizzare ispezioni per verificare il rispetto delle regole e indagare su ogni sospetto. Sottoscrivendo la Convenzione, i Paesi membri si impegnano a ricevere e accettare controlli frequenti da parte dei tecnici Opac.

“Proprio per tutte queste attività e per l’importante ruolo di organismo mediatore nelle crisi internazionali più importanti, negli ultimi decenni che hanno visto l’impiego o il rischio di uso di armi non convenzionali, nel 2013, l’Opac ha ricevuto il premio Nobel per la pace", prosegue il ricercatore del Cnr-Scitec. "La Convenzione è soggetta a revisione, ogni cinque anni, per aggiornare le liste dei composti a elevata tossicità che possono essere impiegati come arma e inseriti tra le sostanze bandite o strettamente controllate. L’Opac si avvale del Consiglio scientifico consultivo (Sab, Scientific advisory board), con scienziati ed esperti impegnati a vagliare la letteratura scientifica e le scoperte tecnologiche più recenti per segnalare se una nuova molecola, un processo, un dispositivo o un materiale possano essere impiegati per finalità belliche o criminali. È grazie a questo continuo aggiornamento che Convenzione e Opac riescono a stare al passo con i tempi, promuovendo un uso etico della chimica e accogliendo la sfida di lavorare - come recita il motto dell’Opac - per un mondo libero dalle armi chimiche”.

Fonte: Matteo Guidotti, Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” e Consiglio scientifico consultivo, Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Opac, dell’Aia (Paesi Bassi), e-mail: matteo.guidotti@scitec.cnr.it