Focus: Racconti di Natale

Happy new year on ice

ghiaccio
di Marco Taviani

Un amarcord particolare, quello del Capodanno 1987-88. La prima missione in Antartide, con 150 ricercatori e tecnici italiani. Il viaggio per Baia Terra Nova, attraversando il Mare di Ross dal fiordo di Lyttelton, con venti a 40 e 50 nodi, cibi avariati, iceberg e panorami irreali... E una pattuglia di pinguini con cui festeggiare il nuovo anno

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Forse avrei dovuto tenere un diario di ciò che la vita mi ha passato - esperienze, missioni, viaggi - anziché affidarmi alla memoria, peraltro neanche troppo affidabile. Se l'avessi fatto, avrei potuto descrivere in questo amarcord almeno un paio di festività legate al mio lavoro di ricercatore.

Come il Capodanno vagamente disneyano del 1981 nella campagna innevata del New Jersey a Lamont-Doherty Geological Observatory di New York, fra scoiattoli cipcioppeschi, cassette della posta in alluminio su apposito palo e stagni ghiacciati sui quali pattinare. In pieno precariato da borsa di studio del Cnr, festeggiato insieme al collega Nevio Zitellini con l'indimenticabile apertura di uno spumante pseudoitaliano sigillato da un tappo a vite. Niente botto, solo pfffff.

Oppure il Capodanno passato sul treno Bologna-Parigi, dato che per le altre date i posti erano saturati: con tanto di spumante condiviso con i passeggeri in un'atmosfera da quadro di Munch.

Ma, seriamente, vogliamo mettere l'Antartide al confronto? Non c'è confronto, e quindi ecco la storia del mio particolare e a tutt'oggi unico fine anno nell'emisfero australe.

Va detto che 1987 mi si presentò sotto i migliori auspici. Durante quell'anno e il successivo misi piede su tutti e cinque i continenti (o sei, o sette?). Alla ricerca di novità nell'ordine, concorsi a un bando Nato, presentai domanda per gli scambi fra l'Accademia delle Scienze cinese e il Cnr e mi candidai a partecipare alla terza spedizione del Programma nazionale di ricerche in Antartide, il Pnra. La speranza era che almeno una di queste opzioni andasse in porto. La vita però è tutta una sorpresa, e molte sorprese sono gradevoli e gradite. In breve, le domande furono accettate tutte. A quel punto il problema era come organizzarle gerarchicamente e cronologicamente. L'Antartide ebbe la priorità perché richiedeva una complessa trafila di visite attitudinali ed un corso di addestramento sulle Alpi in estate. La campagna vera e propria invece si sarebbe svolta in piena estate australe dunque da dicembre a febbraio. La Cina la incastrai in mezzo. Curiosamente, oltreché senza merito alcuno, vi ricevetti in forma quasi-solenne la prima ‘onorificenza' del Polo Sud e cioè una medaglia del programma antartico cinese che laggiù aveva da poco aperto la sua base permanente denominata con molta fantasia ‘Chángchéng Zhàn' (la Grande Muraglia). Il Texas aspettò un anno.

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La spedizione del 1987-88 dunque prese il via e a dicembre eravamo tutti congregati a Christchurch in Nuova Zelanda. La terza spedizione era una missione molto importante e ambiziosa nei suoi molteplici obiettivi, la prima delle tante che avrebbero avuto come capo-progetto l'instancabile Mario Zucchelli, purtroppo scomparso nel 2003. Si trattava di costruire la stazione italiana a Baia Terra Nova, espandendo il piccolo nucleo iniziale avviato nelle due campagne anteriori. Erano previste svariate attività di ricerca sul continente ma era anche in assoluto la prima spedizione oceanografica italiana in Antartide cosa che aveva favorito la mia selezione. Anche il numero dei partecipanti non aveva precedenti per la ricerca polare italiana. Nel complesso poco meno di 150, fra ricercatori e tecnici compresi gli elicotteristi neozelandesi e i militari di supporto alla logistica. Il nutrito contingente che si apprestava a partire per l'Antartide via nave rappresentava un esempio virtuoso di collaborazione fra le molteplici entità nelle quali si frammentava, ieri come oggi, la realtà scientifica ed accademica italiana. Tutti ‘prestati' ufficialmente al Pnra da Cnr, Enea, Ogs, Icrap (oggi Ispra) e Università, quasi una rarità per i tempi. Assai più dolente sul piano dell'equità di genere, vi facevano parte appena tre donne.

Il più corposo contingente della terza spedizione era destinato a Baia Terra Nova e fu ospitato sulla motonave Finnpolaris, un cargo destinato anni dopo a un incontro fatale con un iceberg nell'Artico. La Finnpolaris salpò l'8 dicembre verso il Mare di Ross dal fiordo di Lyttelton, luogo storico dal quale erano partite numerose spedizioni fra le quali quelle di Shackelton nel 1908 e quella tragica di Scott del 1910. Il nostro contingente attese a Lyttleton fino al 22 dicembre quando l'agile rompighiaccio norvegese Polar Queen mollò gli ormeggi con destinazione sud. Le calme a protettive acque del fiordo, caratterizzate da tonalità verdazzurre veramente uniche, non sarebbero durate molto. Fuori, in oceano aperto, fra noi e il Mare di Ross, ci attendevano impazienti i 40 ruggenti e i 50 urlanti. Sebbene non sia obbligatorio che l'oceano meridionale sia in tempesta, come ho scoperto in seguito con altre spedizioni, beh quella volta un po' lo fu. Fortunamente la natura mi ha graziato sul lato della tenuta del mare, cosa che data la mia professione aiuta mica poco. Così di quella traversata (e del tempestoso ritorno a febbraio) conservo immagini epiche e piacevoli. Non si può forse dire lo stesso di altri compagni di viaggio che passarono lunghi giorni di sofferenza, legati nei momenti peggiori alla cuccetta e inclini a un incarnato sul verdastro (sempre Munch). La piccola stazza e la chiglia abbastanza piatta della Polar Queen contribuirono per la loro parte.

Il cuoco italiano, uno dei due di bordo, l'altro era norvegese per le necessità dei suo compatrioti dell'equipaggio golosi di aringhe in tutte le solfe, fece di tutto per garantire ai superstiti un pranzo di Natale gradevole. Non solo il mare e l'improvvida collocazione della sala mensa in alto a prua, ma il malfunzionamento del sistema refrigerante del nostro container provviste imbarcato a Genova aveva comportato l'avaria dei nostri cibi più pregiati, dai formaggi ai prosciutti, complottarono contro il pranzo di Babette. Il giorno 26 attraversammo il Sessantesimo parallelo e la situazione cominciò a migliorare. L'Antartide, ora un po' meno lontano cominciò a segnalarsi con blocchi di ghiaccio della banchisa in disfacimento sotto il sole australe prima piccoli e dispersi e poi sempre più numerosi e fitti. A bordo si cominciò a fare mente locale sulla logistica delle operazioni che da lì a poco sarebbero iniziate. I geologi marini, in sostanza Antonio Stefanon, Umberto Simeoni e il sottoscritto, tutti compagni di cabina oltreché di ventura, dediti a stabilire il da farsi per le campionature del fondo marino (carotaggi, benne e dragaggi) nel Mare di Ross; mentre con i subacquei si finalizzavano i protocolli delle immersioni a baia Terra Nova. Questa attività veniva spesso interrotta dalla contemplazione di panorami del tutto nuovi per molti di noi pivellini del Polo, con iceberg, procellarie e albatross. Una notte fu rumorosissima. La Polar Queen stava attraversando la fascia dei ghiacci galleggianti, cosa che si traduceva in un rumore aspro e continuo avvertito soprattutto da chi aveva la cabina presso la linea di galleggiamento, cioè noi. Passato il Circolo Polare Antartico e inoltrandoci sempre di più nel Mare di Ross, subentrò finalmente la quiete accompagnata dal glorioso avvistamento della prima foca e del primo pinguino imperatore alla deriva su blocchi di ghiaccio tabulari.

In un assolato pomeriggio raggiungemmo la nostra meta a Lat.74.690 Sud, Long. 164.120 Est, ormeggiandoci sulla banchisa vicino alla Finnpolaris alle ore 15.00 del 30 dicembre. La traversata, peraltro fatta a tempo di record, era finita e potevamo mettere finalmente piede a terra, anche se di terra non si trattava, bensì di mare ghiacciato. Accolti da una pattuglia di curiosi pinguini di Adelia e da un piccolo di Imperatore ancora dedito alla muta, eravamo ufficialmente in Antartide.

Se il Natale col mare mosso era stato sfibrante per troppi, il successivo barbecue sul ghiaccio per festeggiare il Capodanno 1988 in un irreale panorama di un giorno senza fine e senza tramonti ci ripagò con gli interessi. L'unica grigliata della mia vita sopra una sottile crosta di ghiaccio che ci separava dalle acque sottozero di un mare profondo oltre 200 metri!

La campagna antartica del 1987-88 avrebbe dovuto nei miei intenti essere un episodio isolato, la mia unica spedizione al Polo Sud. Ne ho collezionate invece dodici. Però quella fu l'unica volta che festeggiai Natale e Capodanno sul ghiaccio.

Marco Taviani

Fonte: Marco Taviani , Istituto di scienze marine, Bologna, tel. 051/6398874, email marco.taviani@bo.ismar.cnr.it

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