Dall’alchimia alla chimica

La necessità di comprendere i fenomeni che trasformano la materia e le questioni filosofiche legate alla sua natura sono state per anni il motore che ha spinto scienziati e intellettuali a osservare il mondo attraverso la sperimentazione di processi chimici e chimico-fisici e mediante la costruzione di strumenti e macchine per studiare le sostanze “semplici” come i gas dell’atmosfera o i metalli, ma anche a formulare ipotesi e speculazioni per cercare una risposta all’origine della materia. Dagli alchimisti - che hanno coltivato i germi della moderna chimica mettendo a punto molti esperimenti e pratiche da laboratorio - alla meccanica quantistica, Lidia Armelao, direttore del Dipartimento di scienze chimiche e tecnologie dei materiali del Cnr, ci guida attraverso i passaggi che hanno segnato la storia della chimica
Secondo Eric Scerri, chimico e storico della scienza, “la periodicità in chimica è una delle idee più importanti della scienza, e ha profondamente rivoluzionato lo sviluppo della chimica moderna”. I passaggi importanti che costituiscono i fondamenti della nascita chimica moderna sono stati lo sviluppo di metodi sperimentali quantitativi, la definizione degli atomi e delle molecole e la necessità di classificare le sostanze o “elementi” secondo un sistema ordinato e facilmente codificabile. L’ultimo punto, in particolare, è stato fondamentale perché ha spinto gli scienziati del XVIII e XIX secolo a ricercare affinità fra sostanze diverse sulla base di dati quantitativi e riproducibili.
Dimitrii Ivanovich Mendeleev elaborò il sistema periodico senza alcuna conoscenza della struttura atomica, della configurazione elettronica degli elementi e delle teorie del legame chimico. Eppure, riuscì a prevedere l’esistenza di elementi scoperti solo successivamente. Mendeleev era attivo come scienziato durante la seconda metà del 1800 e la chimica praticata come disciplina che obbedisce al metodo scientifico di Galileo esisteva da poco più di un secolo. Prima, era alchimia. Tra i suoi appassionati spicca sicuramente il nome di Isaac Newton, che per oltre 30 anni condusse esperimenti non pubblicandone mai i risultati. Il Newton “alchimista” si ispirò alle opere di Robert Boyle. “Oltre che a formulare la sua omonima legge - a temperatura costante il volume di una massa costante di un gas è inversamente proporzionale alla pressione - Boyle inizialmente sosteneva alcune teorie della filosofia alchemica”, spiega Lidia Armelao, direttore del Dipartimento di scienze chimiche e tecnologie dei materiali (Dsctm) del Cnr.
Figlio del suo tempo, Boyle è stato al crocevia fra scienza e alchimia: la sua apertura verso idee innovative e la sua mente analitica lo avvicinarono al metodo scientifico così come lo conosciamo oggi. Nel 1661 pubblicò il volume “The Sceptical Chymist”, trattato scritto in forma di dialogo, attraverso il quale mise in discussione alcuni principi fondamentali dell’alchimia a favore di un approccio meno mistico e più orientato verso la verifica sperimentale. “Gli alchimisti basavano le loro ricerche su tradizioni e credenze più che su ipotesi scientifiche verificabili. La ricerca della pietra filosofale, capace di tramutare il piombo in oro, ne è la manifestazione più caratteristica”, sottolinea Armelao. “Anche gli scienziati del 1700 si appoggiavano su alcuni fondamenti alchemici, per quanto adottassero un approccio basato sull’osservazione sperimentale. Ciò che accomuna alchimisti e pionieri della chimica moderna è la volontà di classificare gli ‘elementi’, i primi utilizzando una loro nomenclatura e una serie di simboli che, per quanto bizzarri, cercavano di dare un ordine sistematico alle sostanze studiate. Ispirandosi a quanto scritto dagli alchimisti, i chimici settecenteschi cercavano di ordinare gli elementi costruendo tavole schematiche, quasi versioni primordiali della tavola periodica di Mendeleev. Uno dei criteri usati per disporre gli elementi era l’affinità, intesa come la capacità di una sostanza di sostituirne una seconda in una reazione chimica con una terza, come nel caso de ‘La Table des Differents Rapports observés entre differentes substances’ di Etienne François Geoffroy, presentata nel 1718 all’Accademia reale delle scienze francese”.

Dimitrii Ivanovich Mendeleev
Antoine Laurent Lavoisier fece un passo decisivo per la nascita della moderna chimica: impostò un metodo basato su dati quantitativi e misurabili, che permetteva di seguire una reazione in maniera rigorosa e univoca. “Lavoisier scoprì che la massa totale dei reagenti si conserva durante una reazione chimica, ovvero la massa totale dei prodotti di reazione è identica alla somma delle masse dei composti di partenza, nulla si crea, niente si perde, tutto si trasforma (rien ne se perd, rien ne se crée, tout se transforme), la trasmutazione degli elementi è perciò impossibile”, sottolinea il direttore del Cnr-Dsctm.
Lavorando con bilance e apparati che permettevano di quantificare reagenti e prodotti, il chimico francese identificò la composizione dell’aria, principalmente formata da azoto e ossigeno, e scoprì che l’acqua non era una sostanza elementare, ma costituita da ossigeno e idrogeno. “Le misure di massa e di volume hanno portato al concetto dei rapporti definiti fra composti reagenti; Gay-Lussac condusse molti esperimenti sui sistemi gassosi, dimostrando che, per reazione di un volume di ossigeno con due volumi di idrogeno, si formavano due volumi di vapore acqueo. Joseph Louis Proust formulò la legge delle proporzioni definite secondo cui in ogni sostanza composta, le quantità in peso dei componenti si trovano in un rapporto ben definito e costante”, precisa Armelao, che aggiunge: “Studiando le proporzioni dei gas costituenti l’atmosfera, l’inglese John Dalton fornì un’interpretazione atomistica alla legge delle proporzioni definite. Dalton enunciò la legge delle proporzioni multiple secondo cui, quando due elementi si combinano in modi diversi per formare diversi composti, fissata la quantità di uno dei due, la quantità dell'altro elemento che reagisce per formare un diverso composto si ricava in rapporti esprimibili con numeri piccoli ed interi”.
Un altro importante contributo arrivò da Amedeo Avogadro, citato dai principali manuali di chimica generale per l’omonima legge: “volumi uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di molecole nelle stesse condizioni di pressione e temperatura”. Tuttavia, gli storici della scienza convengono sul fatto che Avogadro non avesse ben chiaro il concetto di atomo e molecola.
La svolta arrivò da un altro importante chimico italiano, Stanislao Cannizzaro, che catturò l’attenzione del giovane Mendeleev e dell’intera platea al primo convegno internazionale di chimica tenutosi a Karlsruhe nel 1860. “Pur confermando l’ipotesi di Avogadro, Cannizzaro fu il primo a dare una chiara distinzione fra il concetto di atomo e molecola, introducendo il concetto di molecola diatomica, ovvero l’idrogeno come H2 e non semplicemente H. La cosiddetta ‘legge degli atomi di Cannizzaro’ permise di calcolare le masse atomiche degli elementi al tempo noti e fu l’incipit che portò Mendeleev a formulare la tavola periodica degli elementi: il chimico russo, infatti, individuò nel peso atomico la caratteristica intrinseca di ciascun elemento. Mendeleev iniziò ad ordinare gli elementi secondo il loro peso, visualizzandone la periodicità nelle loro proprietà e disponendo quegli elementi con proprietà chimiche simili uno sotto l’altro. Fu il primo a capire gli andamenti nelle diverse proprietà chimico-fisiche che emergevano da famiglie di elementi con peso simile e con peso gradualmente crescente”, conclude il direttore del Cnr-Dsctm.
La capacità di prevedere le proprietà di elementi che sarebbero stati scoperti di lì a poco rese ancora più coerente e solida l’organizzazione periodica da lui proposta. La necessità di trovare un’espressione analitica alla periodicità nelle proprietà degli elementi fu il trampolino di lancio delle diverse teorie sulla struttura dell’atomo che hanno innegabilmente segnato il ’900 come il secolo della meccanica quantistica.
Fonte: Lidia Armelao, Dipartimento di scienze chimiche e tecnologie dei materiali, lidia.armelao@cnr.it