Quando natura fa rima con paura
Uragani, terremoti, frane ed eruzioni vulcaniche generano da sempre inquietudine e spavento. In passato questi eventi venivano attribuiti al volere delle divinità, ora se ne conoscono le cause naturali, ma rimane spesso l'incertezza su come affrontarli e il rischio di sottovalutarli. Ne abbiamo parlato con Claudio Rafanelli
Umberto Galimberti, nel suo 'Dizionario di psicologia', definisce così la paura: “È un'emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia. La paura è spesso accompagnata da una reazione organica, di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l'organismo alla situazione d'emergenza, disponendolo, anche se in modo non specifico, all'apprestamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta e fuga”.
La minaccia, nel caso degli eventi naturali, assume una rilevanza particolare. “L'uomo, nella sua storia evolutiva, ha sempre subìto l'ambiente in cui ha vissuto. Alcuni cambiamenti o fenomeni hanno tempi molto lunghi rispetto alla vita umana. Altri, quali ad esempio uragani, terremoti, frane ed eruzioni vulcaniche, hanno una dinamica rapida, con conseguenze anche gravi per i gruppi umani coinvolti e in molte civiltà del passato sono stati interpretati quali manifestazioni della collera divina”, spiega Claudio Rafanelli dell'Istituto di acustica e sensoristica 'Orso Mario Corbino' (Idasc) del Cnr.
L'avanzare del sapere umano, della scienza e conoscenza ha permesso di comprendere le leggi fisiche che governano questi fenomeni e le moderne tecnologie osservazionali e previsionali permettono di comprendere la loro evoluzione nello spazio e nel tempo. Si sono perciò eliminate le paure ancestrali, non si sono però attenuate quelle relative alle conseguenze. “La reazione più immediata è la fuga, ma bisogna sapere verso dove andare e se il luogo scelto sia più sicuro. Un'altra è l'incredulità: si resta attoniti, oppure non si valuta appieno il rischio, come è accaduto alle persone che a Pompei ed Ercolano nel 79 d.C. rimasero in città e nelle case pensando che l'eruzione del Vesuvio non sarebbe stata catastrofica, come invece fu il 24 agosto”, continua Rafanelli. “La reazione più pericolosa è l'assenza di percezione del rischio. Vivere alle pendici di un vulcano attivo, costruire abitazioni o avviare attività economiche in alvei di fiumi o in aree facilmente allagabili, sottovalutare il rischio frana di pendici e declivi collinari o montuosi, come accadde per esempio per il disastro del Vajont del 9 ottobre 1963 o per la catastrofe in Val di Stava del 19 luglio 1985, è ascrivibile alla percezione, come singoli e come comunità, del rischio che incombe”.
Come può una società moderna reagire alla paura dei fenomeni naturali? “Divenendo resiliente. La resilienza, in scienza dei materiali, è la capacità che un materiale ha di resistere agli urti recuperando la forma originaria. Traslando il concetto, una società resiliente è capace di resistere a un 'urto' quali sono i fenomeni meteorologici, i terremoti, le frane o le eruzioni vulcaniche. Per fare ciò, deve essere istruita, preparata sui comportamenti da tenere; il territorio deve essere ben curato e predisposto a resistere agli eventi. Per concretizzare queste condizioni, occorre una forte sinergia tra mondo scientifico e mondo politico”, raccomanda Rafanelli. “Occorrono piani di informazione e formazione per la popolazione, la capacità di far conoscere ai pubblici i problemi con un linguaggio efficace e semplice. Servono progetti di ricerca e di monitoraggio che consentano di valutare il rischio ambientale e predisporre piani di recupero dei territori, delle infrastrutture e delle abitazioni, diminuendo così gli effetti degli 'urti'. È un problema culturale prima che economico. I fondi necessari per la ricostruzione delle zone distrutte da eventi naturali, se fossero spesi prima, consentirebbero la resilienza della società. È una questione culturale, come detto, non legata a un colore politico, perchè riguarda il bene della società in quanto tale. Qualcosa si sta iniziando a fare, per esempio i recenti progetti 'Pon-Smart Cities' del ministero dell'Istruzione, università e ricerca o i Pcp dell'Agenzia per l'Italia digitale o ancora alcuni progetti regionali. Queste iniziative, oltre a renderci più resilienti, sono finalizzate all'avvio di nuove attività imprenditoriali o alla riqualificazione di quelle esistenti, ricollocando le imprese sui mercati, riavviando così l'economia. Siamo solo all'inizio e molto c'è da fare”, conclude Rafanelli.
Fonte: Claudio Rafanelli, Istituto di acustica e sensoristica ‘O. M. Corbino’ , Roma, tel. 06/49934482 , email claudio.rafanelli@idasc.cnr.it -