Il 'mal d'Africa' dell'astronauta
La vita nello spazio espone a continui condizionamenti mentali e fisici. Esa e Nasa selezionano i candidati alle missioni spaziali valutandone l'equilibrio psicofisico, monitorandolo poi durante tutte le fasi della spedizione. Angelo Gemignani e Francesca Mastorci dell'Istituto di fisiologia clinica del Cnr si occupano di stress estremi
L'esplorazione dello spazio è da sempre uno dei grandi sogni dell'uomo, tuttavia questo ambiente così affascinante non è privo di rischi per l'organismo umano. Quando manca la forza di gravità o se ne riduce sensibilmente il valore (microgravità) insorgono drastici cambiamenti fisiologici. A causa anche delle radiazioni, dell'ostilità ambientale e dello stress, gli astronauti presentano deficit cardiovascolari e muscolari. Alcune modificazioni sono meno rilevanti e temporanee, come l'edema facciale, altre più severe e possono non essere completamente reversibili, mantenendosi talvolta anche al rientro sulla Terra, come la perdita di densità minerale ossea e la compromissione di alcune funzioni del sistema nervoso centrale che si sviluppano nell'ultima fase di adattamento alla microgravità. I principali deficit somatici già evidenti nelle prime ore di volo includono alterazioni della postura, dei movimenti riflessi, mentre effetti somatici a lungo termine riguardano il trofismo muscolare e osseo. Inoltre, durante i primi 3-4 giorni nello spazio gran parte degli astronauti riportano la 'space motion sickness', caratterizzata da malessere diffuso, inappetenza, nausea e vomito.
L'esposizione alla microgravità influisce anche sulla sfera emotiva, sulle funzioni cognitive e sul ciclo sonno-veglia, inducendo alla cosiddetta 'insonnia spaziale' associata a un maggiore rischio di incidenti. “Lo stress legato all'assenza di gravità, al fitto calendario lavorativo, agli spazi stretti e ai numerosi fattori di rischio impongono la capacità di dover mantenere relazioni interpersonali serene e un buon equilibrio psicologico. A tal riguardo bisogna considerare anche i condizionamenti emotivi di arricchimento ambientale dovuti alla vista della Terra dallo spazio”, spiega Angelo Gemignani, dell'Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Consiglio nazionale delle ricerche, e membro del centro di psicofisiologia clinica integrata nell'ambito dello studio adattativo alle condizioni estreme. “Un recente studio dell'Università della Pennsylvania riporta le diverse emozioni percepite dagli astronauti che hanno vissuto l'esperienza di guardare la Terra da una così grande distanza. Essere immersi nella natura, oltre a stimolare la formazione di nuovi neuroni a livello ippocampale (neurogenesi), induce a una sorta di estasi religiosa, tipico di chi fa meditazione. Questa condizione mentale chiamata 'overview effect' induce conseguenze psicofisiche e comportamentali, una sorta di 'mal d'Africa spaziale' che si manifesta al ritorno dal viaggio in orbita. Inoltre l'isolamento sociale e gli ambienti stretti possono generare ansia, depressione, confusione e stanchezza”.
Uno dei primi criteri di selezione degli astronauti riguarda non a caso le caratteristiche psicologiche dei candidati. “Un buon astronauta deve avere la capacità di mantenere la concentrazione in condizioni di stress, la predisposizione al lavoro di squadra e alla risoluzione dei conflitti. Ogni missione ha un team medico in cui operano psicologi con il compito di monitorare la salute mentale dei membri dell'equipaggio e promuoverne il benessere e la performance. In alcuni casi possono esserci psicologi anche fra i ricercatori, per condurre ricerche su come la vita nello Spazio influisce sui processi mentali”, continua Gemignani.
Che tipo di preparazione viene fatta prima della partenza? “Spesso l'allenamento psicologico prima delle missioni è svolto in centri di ricerca in luoghi remoti che riproducono le condizioni d'isolamento dello spazio, come il Polo Sud o le grotte sotterranee. Il profilo psicologico dell'equipaggio viene valutato mediante test e colloqui con psicologi e psichiatri”, chiarisce Francesca Mastorci del Cnr-Ifc. “Gli astronauti devono dare prova di una forte motivazione a partecipare al programma, elevata tolleranza allo stress, buone capacità decisionali, maturità emotiva e capacità di lavorare con gli altri. La preparazione ha il ruolo di formare i cosmonauti a capacità di autoregolazione consapevole imparando a gestire il proprio stato funzionale”.
Il sostegno mentale per gli astronauti, offerto anche al rientro dalla missione, si è evoluto nel tempo. “Oggi il supporto psicologico è previsto in tre fasi: in volo, pre e post flight. Il rapporto con i compagni di missione è fondamentale nella gestione delle emozioni durante lo stazionamento, per superare l'evento emotivo negativo e per la continuazione della missione. Attualmente le agenzie spaziali statunitense ed europea, Nasa ed Esa, offrono corsi di formazione pre-volo in settori come la cura del benessere personale, la gestione dei conflitti e l'accettazione delle differenze culturali. Finita la missione si svolgono una serie di debriefing destinati a monitorare l'efficacia del programma di supporto psicologico fornito sia all'astronauta sia alla sua famiglia, allo scopo di migliorarne gli effetti. Gli astronauti e le loro famiglie possono inoltre utilizzare servizi di supporto psicologico in qualsiasi momento. A differenza dei noti effetti fisiologici, le conseguenze psicologiche innescate dal rientro da una missione spaziale sono meno definibili e profondamente legate a quanto accaduto durante la missione stessa, come ad esempio la durata, il tipo di stress o l'eventuale esposizione ad eventi avversi”, conclude l'esperta. “La ricerca psicologica in ambito spaziale è ancora relativamente nuova e necessita di tempo per raccogliere dati in modo da generalizzare con sicurezza i possibili esiti dell'isolamento. Un programma completo di psicologia dello spazio dovrà essere interdisciplinare e rivolto principalmente alla preparazione nel periodo antecedente alla missione, al fine di fornire conoscenze, tecnologie e strumenti per consentire un'esplorazione dello spazio sicura e produttiva”.
Fonte: Angelo Gemignani, Centro Extreme - Istituto di fisiologia clinica del Cnr, tel. 050/3152699 , email angelo.gemignani@unipi.it - Francesca Mastorci, Istituto di fisiologia clinica, Pisa , email mastorcif@ifc.cnr.it -