Focus: Mosaico

Quando il mosaico è dentro di noi

Mosaicismo genetico
di Rita Bugliosi

Molte anomalie del cervello così come i tumori hanno alla base il mosaicismo genetico, una condizione per cui cellule con patrimonio genetico diverso coesistono nello stesso individuo, come spiega Silvia Landi dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche

Pubblicato il

Il termine mosaico ci richiama alla mente un’immagine realizzata accostando tasselli di diversi colori e dimensioni, le cosiddette tessere; una tecnica antica, già in uso presso gli Egizi per decorare i sarcofagi dei faraoni e molto usata dagli antichi Greci e Romani, ma anche dai Bizantini. Ma il mosaico è presente in qualche modo anche nel nostro corpo, quando si è affetti da una condizione di mosaicismo genetico, di cui abbiamo parlato con Silvia Landi dell’Istituto di neuroscienze (In) del Consiglio nazionale delle ricerche: “Nella maggior parte degli esseri viventi, il Dna è uguale in ogni cellula che compone l’organismo; ciò che cambia tra tessuti e organi è come i geni vengono espressi. In caso di mosaicismo genetico, invece, un individuo, un tessuto o un organo possono presentare cellule con diverso patrimonio genetico e la loro espressione diversificata avviene contemporaneamente, come accade per esempio nei fiori bicolori o nel gatto calico, caratterizzato da un pelo a macchie tricolori rosso-nero-bianco”.

Oltre ad avere effetti estetici, questa condizione può avere però anche conseguenze sulla salute di un individuo. “Il mosaicismo genetico può essere alla base di molteplici patologie del cervello o essere associato alla comparsa e allo sviluppo di tumori. Cellule ‘impazzite’ e dotate di un diverso Dna mescolate come in una sorta di puzzle sono anche cellule più aggressive e, quindi, più difficili da sconfiggere nella loro replicazione e migrazione fuori controllo. Questo accade nei tumori, tra i quali in particolare nel glioblastoma multiforme, di cui ci stiamo occupando attualmente al Cnr”, spiega la ricercatrice.

Beatrix

Una finestra sul cervello di un topo in cui i neuroni della corteccia visiva esprimono due corredi genetici. In rosso si vedono neuroni normali, in verde i neuroni che esprimono la mutazione. La finestra è larga circa 3 millimetri

All’interno del Cnr sono state studiate malattie legate al mosaicismo genetico. “Nel nostro gruppo, coordinato da Gian Michele Ratto dell’Istituto di biofisica (Ibf) del Cnr, ci siamo occupati negli anni di studiare in particolare un modello di epilessia associata a crisi farmacoresistenti, detta ‘epilessia delle bambine’, legata alla mutazione del gene PCDH19. Questo gene è presente sul solo cromosoma X e poiché quando si genera un nuovo individuo, già allo stadio di 20 cellule, uno dei due cromosomi X materni smette di funzionare, se l’individuo ha cellule con mutazione di PCDH19 accanto a cellule vicine non mutate si manifesta la patologia”, chiarisce Landi. “Recentemente, sono stati tuttavia diagnosticati anche maschi affetti dalla patologia, sebbene con tratti meno severi: in questo caso si parla di un ‘mosaicismo somatico’. Tuttavia, la cosa potrebbe essere ancora più complessa: in un nostro recente studio svolto in un modello preclinico della malattia abbiamo dimostrato come l’introduzione della mutazione per PCDH19 a mosaico nel cervello sia di per sé sufficiente a provocane una profonda alterazione che sfocia nell’epilessia”.

Il Cnr ha effettuato anche ricerche per individuare una tecnica in grado di rivelare un mosaico genetico e distinguere così una cellula mutata da una sana in un individuo vivo. “Qualche anno fa, nel 2020, abbiamo sviluppato uno strumento molecolare denominato Beatrix, che può trovare applicazione in un largo campo di studi. Nella nostra ricerca abbiamo testato questo strumento in un modello murino di malformazione cerebrale associata a epilessia, denominata displasia focale. Abbiamo dunque potuto ‘colorare’ i neuroni sani di rosso e quelli malati, dove veniva introdotta la mutazione, di verde, in modo da generare mosaici con diversa percentuale di cellule mutate. L’approfondimento di questo studio consentirà nei prossimi anni di rispondere alla domanda se una diversa percentuale di cellule malate in un circuito sano possa determinare la malattia o se ci sia piuttosto una precisa geometria che sovrintende al modo in cui le cellule comunicano fra di loro”, conclude l’esperta.

Fonte: Silvia Landi, Istituto di neuroscienze, silvia.landi@in.cnr.it

Tematiche
Argomenti