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Estremofili, utili per studiare l’origine della vita

Terra
di Alessia Famengo

Dai Campi Flegrei alle lune di Saturno e Giove i microrganismi estremofili, che vivono in condizioni proibitive se non letali per la stragrande maggioranza degli esseri viventi, rappresentano un’opportunità unica di studiare i sofisticati meccanismi di adattamento ad ambienti estremi, un passaggio fondamentale per comprendere come la vita abbia avuto inizio sulla Terra e sondare le potenzialità degli esopianeti di ospitarla. Ne parliamo con Beatrice Cobucci Ponzano, dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr

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Lo scorso 24 settembre la capsula della missione Nasa Osiris Rex è atterrata con successo sul deserto dello Utah con un carico prezioso: materiale roccioso e polvere prelevati dalla superficie dell’asteroide Bennu, un corpo celeste formatosi dai 700 milioni ai 2 miliardi di anni fa nella cintura degli asteroidi compresa fra Marte e Giove. L’analisi dei campioni coinvolgerà ricercatori di tutto il mondo in diverse discipline per cercare di rispondere con i dati a disposizione alle domande che da sempre l’uomo si pone: come è nata e perché si è evoluta la vita sulla Terra e quali saranno gli scenari futuri più probabili.

Perché, allora, campionare del materiale da un asteroide? A differenza di quanto accade sulla Terra, le rocce di Bennu non hanno subito l’effetto dell’erosione e di altri fattori come, ad esempio, l’impatto con l’atmosfera terrestre, questo significa che l’attuale composizione chimica e mineralogica dell’asteroide può essere considerata ragionevolmente rappresentativa della chimica dei primi giorni del nostro Sistema solare, una buona base di partenza per delucidare i meccanismi molecolari che hanno portato alla vita.  Bennu, infatti, è classificato come un asteroide di tipo-B, ovvero contiene quantità significative di carbonio. Le analisi preliminari hanno confermato la presenza di composti ricchi in carbonio e minerali che contengono molecole di acqua, composti alla base della vita sulla Terra.

Sebbene finora non siano stati ancora rilevati segnali di vita oltre il nostro pianeta, le ipotesi su una biologia e un’origine della vita extraterrestri sono ragionevoli e supportate dalla presenza di molecole essenziali come l’acqua, rilevata ad esempio sul suolo marziano dalle sonde Curiosity e Perseverance, e aminoacidi, polioli e nucleobasi identificati in meteoriti e asteroidi, come nel caso della meteorite di Murchinson, caduta in Australia il 28 settembre del 1969.

“L’astrobiologia è un ambito di ricerca altamente multidisciplinare volto a studiare l'origine, l'evoluzione e la distribuzione della vita nell'Universo. La ricerca della vita oltre la Terra richiede la comprensione dei meccanismi della chimica pre-biotica, dei limiti della vita in ambienti estremi, nonché delle interazioni e dei processi planetari. Per questo, l’astrobiologia combina discipline quali l’astronomia, la biologia, la chimica, la geologia, le scienze dell’atmosfera, l’oceanografia e l’ingegneria aeronautica”, spiega Beatrice Cobucci Ponzano, ricercatrice dell’Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Cnr e membro del direttivo della Società italiana di astrobiologia, a cui afferiscono molti ricercatori del Cnr.

Per rispondere alle domande legate all'origine della vita è essenziale comprendere i "limiti della vita" e i meccanismi di evoluzione e adattamento sulla Terra, che costituisce il nostro unico laboratorio naturale. “Gli organismi estremofili sono cruciali nel definire questi confini e l'isolamento di batteri e di Archaea (batteri antichi), che vivono in ambienti considerati estremi da un punto di vista antropocentrico, ha ridefinito la nostra comprensione dei limiti dell'abitabilità. Questi microrganismi, infatti, richiedono queste condizioni estreme per vivere. Inoltre, molti estremofili appartengono al Dominio degli Archaea, organismi che conservano tratti che si suppone fossero presenti nell’ultimo antenato comune universale (LUCA) ed il cui studio potrebbe aiutarci a comprendere l’origine della vita sulla Terra”, precisa la ricercatrice.

Marte

In questo contesto, la caldera dei Campi Flegrei, ad esempio, è un laboratorio a cielo aperto che simula le condizioni ambientali della Terra nel periodo pre-biotico, quelle del cosiddetto “brodo primordiale”.  “La solfatara di Pisciarelli di Agnano è l’ambiente ideale per studiare l’evoluzione della vita in condizioni estreme, con temperature oltre gli 85°C, a pH acido e ad altissime concentrazioni di zolfo e arsenico, generalmente tossici se non letali per la stragrande maggioranza dei viventi.  Inoltre, camini idrotermali e solfatare sono presenti anche su Encelado, la luna di Saturno, e Europa, la luna di Giove, e siti come la solfatara di Pisciarelli fungono proprio da analoghi terrestri in pianeti extraterrestri, aiutandoci a comprendere come si è sviluppata la vita e se possiamo trovare la vita su altri pianeti nell’Universo”, aggiunge l’esperta.

Per meglio comprendere il passaggio da sistemi abiotici alle molecole biotiche si parte comunemente dalla formamide come precursore: viene sintetizzata a partire da HCN (acido cianitrico) e H2O (acqua), considerate fra le prime molecole presenti sulla Terra. La formamide è stata infatti rilevata in diversi oggetti provenienti dallo spazio, come comete e nuvole gassose presenti nello spazio interstellare. “Alle condizioni idrotermali dell’area di Pisciarelli e in presenza di rocce meteoritiche sono state ottenute una serie di molecole biologiche come amminoacidi e zuccheri a partire da una miscela da formamide e acqua idrotermale. Nel sito di Pisciarelli si trovano, inoltre, diversi Archea estremofili che vivono a pH 1.5 e 92°C. Negli ultimi anni la ricerca sugli estremofili si è notevolmente sviluppata grazie alla metagenomica, ovvero lo studio del materiale genetico campionato direttamente in situ, vista la difficoltà di coltivare alcuni di questi microrganismi in laboratorio. Grazie agli Archea è possibile studiare i sofisticati meccanismi alla base della capacità di questi organismi di vivere in questi ambienti, un passaggio fondamentale non solo per dare una risposta sull’origine della vita ma anche per sondare le potenzialità degli esopianeti di ospitarla”, chiarisce la ricercatrice.

Inoltre, gli estremofili costituiscono un’importante risorsa per la produzione industriale di biomolecole di interesse biotecnologico, nell’ottica dell’economia circolare; dal punto di vista più strettamente biotecnologico, la caratteristica più importante è che i loro enzimi sono stabili e reattivi alle condizioni estreme del loro habitat e per questo motivo vengono comunemente denominati “estremozimi”. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli enzimi sono proteine che si inattivano o degradano a condizioni diverse da quelle fisiologiche. Operando in condizioni estreme di pH, temperatura, salinità, gli estremozimi sono di interesse per svariati processi industriali. “Nei microrganismi termofili come gli Archea è stata identificata una serie di enzimi deputati, per esempio, alla modifica e all’idrolisi dei carboidrati, resistenti alle alte temperature e potenzialmente impiegabili nei processi di produzione di biomolecole di interesse biotecnologico a partire da biomasse lignocellulosiche secondo i principi della green chemistry. Questi estremozimi trovano spazio in molte applicazioni biotecnologiche in ambiti che vanno da quello alimentare a quello delle energie rinnovabili e sono uno dei pilastri dell’infrastruttura di ricerca europea di biotecnologie industriali Ibisba”, conclude Cobucci Ponzano.

Fonte: Beatrice Cobucci Ponzano, Istituto di bioscienze e biorisorse, beatrice.cobucciponzano@ibbr.cnr.it

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