Proteine in laboratorio per curare il cuore
Daniele Catalucci dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr illustra come diverse forme di cardiomiopatia possano essere trattate sfruttando l’azione svolta dai peptidi mimetici, catene di aminoacidi creati in laboratorio per imitare l’attività biologica di quelli naturali. E spiega come le problematiche create da questa applicazione terapeutica siano state superate grazie alla collaborazione con l’Istituto di scienza, tecnologia e sostenibilità per lo sviluppo dei materiali ceramici dell’Ente e al supporto di un network internazionale
I peptidi mimetici sono brevi catene di aminoacidi progettate per imitare l'attività biologica di piccole proteine o peptidi normalmente presenti in natura e che possono essere implicati nella modulazione di importanti processi fisiologici o nel contrasto di varie condizioni patologiche. Nelle applicazioni mediche e biotecnologiche i peptidi mimetici vengono creati attraverso un processo noto come design razionale, che prevede l'identificazione di elementi strutturali analoghi a quelli dei peptidi naturali ma strutturalmente o chimicamente modificati in modo tale da migliorarne la stabilità, ma anche l'attività, la specificità e l'affinità alla proteina bersaglio. Il nostro gruppo di ricerca all’Istituto di ricerca genetica e biomedica (Irgb) del Cnr da anni si dedica alla comprensione dei meccanismi molecolari alla base della disfunzione cardiaca. Ed è proprio cercando di comprendere le differenze molecolari tra condizioni fisiologiche e patologiche del cuore che è stato possibile identificare un piccolo peptide, in questo caso interamente composto da aminoacidi naturali, il cui mimetismo lo si ritrova nel suo meccanismo d’azione. Difatti, è proprio mimando quei meccanismi molecolari alla base della contrazione ritmica del cuore sano che questo peptide “mimetico” (Mp) è in grado di contrastare la ridotta contrattilità del miocardio scompensato.
In un cuore sano, la normale contrattilità e ritmicità del miocardio è controllata da proteine chiave come il complesso proteico dei canali ionici del calcio di tipo L (Ltcc), i quali svolgono un ruolo importante nella regolazione dell'afflusso di calcio nelle cellule, fondamentale appunto per molti processi cellulari come la contrazione muscolare. In diverse forme di cardiomiopatia, sia di origine acquisita (per esempio associata al diabete oppure conseguente alla sepsi, invecchiamento, o ischemia) sia genetica (ad esempio aritmia come nella sindrome di Brugada), la distribuzione subcellulare dei canali Ltcc, ma non necessariamente la loro funzione intrinseca, viene alterata. Ne risulta uno squilibrio delle correnti di calcio con conseguente riduzione della forza contrattile del miocardio. Questa situazione può essere però revertita grazie all’azione del peptide Mp che, bersagliando selettivamente una proteina intracellulare del complesso Ltcc, va a correggere il posizionamento subcellulare dell’intero complesso proteico Ltcc, ripristinandone così la normale densità a livello della membrana cellulare dei cardiomiociti. A livello macromolecolare, l’azione del peptide Mp si traduce in un cuore con funzione contrattile ripristinata.
In generale però l’applicazione terapeutica dei peptidi presenta delle problematiche. Difatti, questi sono impermeabili alla membrana cellulare e, specialmente quelli a composizione naturale come l’Mp, sono molto esposti a instabilità (emivita breve) a causa delle loro piccole dimensioni e della loro suscettibilità alla degradazione enzimatica. Ciò può pertanto limitare la loro efficacia come effettivi agenti funzionali per un potenziale trasferimento alla clinica. Tra le diverse strategie utili per il superamento dell’impermeabilità cellulare ed effettiva veicolazione delle molecole terapeutiche all'interno delle cellule si ritrova un’altra tipologia di peptidi, i così detti cell-penetrating peptide (Cpp). Nelle prime fasi delle nostre attività di ricerca abbiamo appunto utilizzato un peptide Cpp, una poli-arginina, che utilizzato in sequenza all’Mp ne ha permesso la veicolazione intracellulare per l’effettiva interazione con il bersaglio Ltcc. Grazie all’utilizzo di questa chimera peptidica, sono state ottenute una serie di prove di concetto terapeutiche in modelli di scompenso cardiaco quali la cardiomiopatia diabetica, indotta da shock settico, oppure associata all’invecchiamento o alla sindrome di Brugada. Ma è con una seconda strategia di mimetismo che siamo riusciti a superare con successo sia l'instabilità del peptide, aumentandone l'emivita, sia a ottenere un’effettiva e facilitata veicolazione arricchita verso le cellule cardiache d’interesse. Difatti, grazie alla cospicua collaborazione con i colleghi dell’Istituto di scienza, tecnologia e sostenibilità per lo sviluppo dei materiali ceramici (Issmc), sono state sviluppate delle nanoformulazioni inalabili per l’effettivo trasferimento di terapeutici biologici, attraverso l’asse cardio-polmonare, direttamente all’interno delle cellule contrattile del cuore. Mimanti i componenti normalmente presenti nelle nostre ossa e nei denti, queste nanoparticelle inorganiche di calcio fosfato risultano altamente biocompatibili in quanto riconosciute verosimilmente come materiale “endogeno”. Inglobando il peptide Mp al loro interno, lo proteggono dalla degradazione enzimatica del sangue.
Supportato da un network internazionale all’interno del progetto europeo Cupido coordinato dal Cnr, la nanoformulazione “mimetica” è stata ulteriormente sviluppata da scala di laboratorio verso un 'pilot scale up' e ultimamente licenziata a una spinoff del Cnr, NanoPhoria, la quale è ora dedicata a portare le nanoformulazioni contenente il peptide Mp in clinica. Pertanto, prodotti terapeutici ad azione mimetica come quello presentato potrebbero rappresentare una modalità innovativa per il trattamento delle malattie del cuore. A oggi le malattie cardiovascolari sono la prima causa al mondo per decessi con la preoccupante cifra di 17,9 milioni di vite perse ogni anno; 64,3 milioni è invece il numero delle persone che a livello mondiale è afflitto dall'insufficienza cardiaca, gli anziani sono i soggetti che principalmente ne soffrono, con una stima per le persone di età superiore a 65 anni di circa 10 ogni 1000.
Fonte: Daniele Catalucci, Istituto di ricerca genetica e biomedica, daniele.catalucci@cnr.it