Il teatro di Siracusa è in ballo
Il monumento greco, destinato ad accogliere anche concerti di massa, è oggetto di un acceso dibattito sull’uso di architetture antiche per grandi concerti pop. La soluzione è sempre un approccio basato sui dati e attento alla conservazione del bene dall'impatto dello spettacolo. Ne abbiamo parlato con Fabio Caruso, archeologo del Cnr-Ispc, che spiega perché "non si può ballare" sul teatro siciliano
Lungo le coste del Mediterraneo, nei centri di antica fondazione, continuano a fare mostra di sé teatri e anfiteatri, straordinarie testimonianze della civiltà greco romana e del suo espandersi. Da Delfi a Taormina, da Leptis Magna a Siracusa queste architetture si elevano in aree di grande valore paesaggistico, in vista sul mare o su spettacolari alture sovrastanti le città. Tali opere, costruite in pietra, marmo o scavate nella roccia, racchiudono conoscenze di ingegneria, acustica, scenografia, scultura, urbanistica. Sulle scene e nei gradini delle cavee si concretizza un momento importante del vivere sociale, che scaturisce dalla condivisione emotiva di aspetti religiosi, politici e morali, veicolati dalle tragedie e commedie rappresentate.
Sono ancora tanti i teatri stabilmente utilizzati, nella stagione estiva, per le rappresentazioni teatrali o per i concerti. Se da una parte la continuità d’uso costituisce un punto di forza per tali strutture, che possono ancora assolvere allo scopo per il quale vennero costruite, ossia intrattenere e avvicinare alla cultura il pubblico, dall’altra questo tipo di fruizione può minacciarle, complici la pressione, il movimento, il carico degli spettatori. Il dibattito, sempre attuale, investe il tema della tutela e fruizione dei siti archeologici e il marketing che vi ruota intorno tra la necessità di introiti da reinvestire per la loro conservazione e un'adeguata salvaguardia. Nell’epoca del turismo di massa e dei grandi eventi di immediato consumo diventa centrale il richiamo alla cittadinanza attiva, per un impegno maggiore nella protezione dello spazio pubblico.
Tanti episodi di cronaca fanno riflettere sulla delicatezza delle strutture antiche, destinate naturalmente a morire, se non vengono preservate con cautela e con l’ausilio delle moderne metodologie.
Di recente l’attenzione si è spostata sul Teatro greco di Siracusa, un'architettura di 2300 anni fa che quest’anno ospiterà, in aggiunta al tradizionale ciclo di rappresentazioni classiche, un programma di concerti pop e rock. Il movimento del pubblico, che inevitabilmente segue il ritmo musicale, rischierebbe di danneggiare le pietre millenarie della struttura, adatta a rappresentazioni diverse, più "tranquille" e distanziate nel tempo.
Il primo ad aver sollevato il problema della peculiarità costruttiva del teatro siracusano, è stato Fabio Caruso, archeologo e ricercatore dell'Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Consiglio nazionale delle ricerche: “Non tutte le strutture teatrali antiche sono uguali. È un dato per certi versi ovvio, che tuttavia tende a sfuggire all’opinione pubblica: varia la tecnica costruttiva, il materiale utilizzato, lo stato di conservazione. Buona parte di questi edifici, nei secoli, sono stati utilizzati come cave di pietra per nuove costruzioni: le gradinate delle cavee offrivano dei blocchi facili da asportare e più o meno pronti per un reimpiego immediato. In molti casi, quindi, i gradini sui quali prendiamo posto sono frutto di restauri, a volte di ricostruzioni radicali. L'Arena di Verona conobbe i primi restauri addirittura nel Rinascimento; la cavea del Teatro di Taormina è stata ricostruita, pressoché integralmente, nel 1959 e si presta quindi - nel rispetto che si deve a un monumento di tale rilevanza - a ospitare spettacoli e pubblico di ogni genere".
Il caso del Teatro greco di Siracusa è completamente diverso. "Non è costruito pietra su pietra, ma interamente scavato nel tenero calcare bianco del colle Temenite. Camminarci sopra è come muoversi su una gigantesca, fragile e porosa scultura a cielo aperto, arricchita, fra l’altro, da iscrizioni di grande importanza storica. Merita attenzione costante, rispetto e cura perché possiamo consegnarlo alle generazioni che ci seguiranno”, aggiunge il ricercatore. Costruito nel V secolo a.C., situato all'interno del Parco archeologico della Neapolis, sulle pendici nel lato sud del colle Temenite, fu poi rifatto nel III secolo a.C. e successivamente trasformato in epoca romana. La sua costruzione era stata progettata tenendo conto sia della forma naturale del colle sia della possibilità di sfruttare al massimo l'acustica. Tipica caratteristica dei teatri greci è anche la valorizzazione della visione panoramica, cui non doveva fare eccezione quello siracusano, offrendo la visione dell'arco del porto e dell'isola di Ortigia. La cavea aveva un diametro di 138,60 metri, uno dei più grandi del mondo greco, ed era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori ("cunei") da scalinate.
Proprio a Siracusa, peraltro, nel 2005 veniva definita la Carta europea per la conservazione delle architetture teatrali antiche, dove si pone l’accento sui criteri di fruizione di tali monumenti.
“Nel programmare gli eventi bisogna sempre tenere presenti le linee guida della Carta, che consente l'uso dei teatri antichi solo se vengono rispettati precisi criteri, a partire dalla preventiva conoscenza dello stato di salute di ciascuna delle parti: cavea, orchestra, edificio scenico, acustica, poiché l'uso di un monumento antico inevitabilmente lo usura e può cancellare dati utili alla sua corretta conoscenza storica e archeologica. Non si può consentire l'utilizzo di monumenti non studiati e adeguatamente documentati, o di acclarata vulnerabilità”, conclude Caruso.
Già nel XVIII secolo Johann Hermann von Riedesel, diplomatico e ministro tedesco, ebbe a scrivere del teatro siracusano: "La sua grandezza, l’imponente maestà di un edificio così intagliato nel vivo della montagna, combinate alla più deliziosa delle situazioni, ispirano il rispetto, e l'ammirazione" (Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia, 1771).
Fonte: Fabio Caruso, Istituto di scienze del patrimonio culturale, e-mail: fabio.caruso@cnr.it