Errare è umano. E anche scientifico
Giuseppe Remuzzi, in “Quando i medici sbagliano” (Laterza), avvia una riflessione che include le informazioni fornite dalle reti, la contaminazione tra aspetti clinici, economici e legali, il rapporto tra attività ospedaliera, ricerca scientifica e interessi farmaceutici. Ecco perché sin dall’università si dovrebbe insegnare a parlare tra ricercatori, medici e pubblico
In questo “Quando i medici sbagliano” Giuseppe Remuzzi ha ripreso, aggiornato e ampliato alcuni passaggi de “La salute (non) è in vendita”, pubblicato nel 2018 sempre con Laterza. In questo lasso di tempo, la riflessione sui colloqui dei medici con i pazienti, sulla disponibilità e capacità di ascolto dei primi e la possibilità di comprensione dei secondi si è inserita sempre più in quella sull’immensa quantità di informazioni fornite dalle reti, sulla contaminazione tra aspetti clinici, economici e legali del servizio sanitario, sul complesso rapporto tra attività ospedaliera, ricerca scientifica e interessi farmaceutici. “Una buona organizzazione di salute non dovrebbe avere la necessità di aumentare il fatturato tutt’altro dovrebbe adoperarsi per ridurlo”, afferma l'autore, Direttore scientifico dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, con una frase più paradossale di quanto sembri, tanto da chiedersi provocatoriamente se “Marx stia tornando di moda”.
Remuzzi analizza questo scacchiere soprattutto alla luce dell’eccezionale esperienza della pandemia: origini di Covid-19, sovraesposizione di esperti presunti e reali, realtà e mitizzazione della cultura scientifica, etc. Le considerazioni dell'autore spaziano da Darwin al Dna, fino ai successi e ai limiti della genomica, dalle prospettive dei big data al controverso rapporto tra scienza e politica. Con alcune oneste ammissioni, quale quella per la quale “ci sono buoni argomenti” sulla “teoria di un virus originato in laboratorio”, quanto per la prevalente tesi dell’origine naturale. Con apprezzabile onestà, il libro mette inoltre in luce gaffe commesse da luminari quasi Tony Fauci e Robert Gallo, e le incertezze dell’Oms e della sua commissione di indagine su Sars-CoV-2.
La conclusione è che “non c’è ‘una’ storia sull’origine del virus, ce ne potrebbero essere tante” e il dubbio si fa più forte nel momento in cui “la scienza esce dai suoi santuari tradizionali” e “il dibattito non è più fra noi soltanto, è pubblico ormai”. Se la gente è confusa “su tante questioni anche semplici, nel caso per esempio del virus Sars-CoV-2" e "la scienza non ha ancora una risposta certa, perché non dirlo apertamente? Ciò aiuterebbe il pubblico a capire come funziona la scienza”. Remuzzi suggerisce di comportarsi come il dottore di Lev N. Tolstoj in “La morte di Ivan Ilic”, che al malato che chiedeva se fosse “grave oppure no?” rispose: “Vi ho già detto signore tutto quello che ritenevo utile e ragionevole".
Certo, le cose non stanno più come nella Russia dell'epoca. “Oggi è diverso. Capita che la mamma di un ragazzo di 18 anni scriva così: ‘Mio figlio ha avuto una diagnosi di ipertensione polmonare e soffre di reni. Ho letto tanto e mi pare di aver capito che ci potrebbe essere un legame’”. Oggi “tanti ammalati vanno dal dottore dopo aver passato ore in Internet a leggere tutto quello che c’è sulla loro malattia. Sbagliato? Niente affatto anzi i medici dovrebbero incoraggiare chi lo desidera a farlo. Due studi pubblicati su un giornale americano di medicina interna hanno mostrato che ammalati che leggevano di medicina stavano meglio – e morivano meno”. Insomma, ci si reca dal medico come al supermercato dove è “il cliente che comanda” anche se l’ammalato “è un cliente speciale”.
Ecco perché sin dall’università si dovrebbe insegnare a parlare con i malati, considerato “che nella sua carriera ad un oncologo capita almeno 20 mila volte di dover dare brutte notizie”. E se per molte domande non c’è una risposta sicura - esattamente come è stato per l’infezione, l’immunità, il lockdown, la sicurezza e l’efficacia dei vaccini - si deve e si può coinvolgere il pubblico. Non siamo più nel 1796, quando “Edward Jenner infettò il figlio del suo giardiniere” consentendo di debellare il vaiolo (anche se “ci sono voluti due secoli”): “Oggi nessun comitato etico consentirebbe” di adottare quel protocollo.
Titolo: Quando i medici sbagliano
Categoria: Saggi
Autore: Giuseppe Remuzzi
Editore: Laterza
Pagine: 119
Prezzo: € 14,00