Faccia a faccia

Augias: tv verità e verità della scienza

Corrado Augias
di Alessia Cosseddu

Giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, Corrado Augias è autore di programmi come "Telefono giallo" e "Quante storie". Nella ricorrenza dei duecento anni dalla morte, parliamo assieme della figura controversa di Napoleone. Ma anche dell'evoluzione della tv dagli anni '80 a oggi, della pandemia e degli atteggiamenti controversi che suscitano le scoperte scientifiche

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Corrado Augias, giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo. Collabora dalla sua fondazione, nel 1976, al quotidiano la Repubblica, dove cominciò come inviato a New York. È stato inviato a Parigi, invece, per i settimanali l'Espresso e Panorama. È un profondo conoscitore della Francia e con lui parliamo tra l'altro di Napoleone nei duecento anni dalla morte: nel 2007 Augias ha ricevuto la Legion d'onore, istituita proprio da Napoleone, che ha restituito nel 2020 dopo l'assegnazione del riconoscimento al presidente Abdel Fattah al-Sisi, in segno di protesta per la mancata collaborazione egiziana nelle indagini sull'omicidio di Giulio Regeni. In Rai Augias è stato giornalista, inventore e presentatore di trasmissioni storiche come "Telefono giallo", attualmente è autore del programma di Rai3 "Quante storie", condotto da Giorgio Zanchini e conduttore di “Città segrete”. Con lui parliamo anche di evoluzione della televisione, infodemia e pandemia.

Se Rousseau ispirò i principi della rivoluzione francese, Napoleone li disattese autoproclamandosi imperatore. Un parallelo con le derive di alcuni moderni stati democratici è praticabile?

Dalla rivoluzione uscirono tante cose, tante scintille, come il riconoscimento dei diritti dell'uomo, il terrore, la decapitazione di un re e di una regina e uscì anche una figura, favorita dalle circostanze, straordinaria e di genio assoluto che in meno di vent'anni ha messo a soqquadro l'Europa, salvo poi, dopo Waterloo, vederla tornare al punto in cui l'aveva trovata. Questo non vuol dire che non abbia commesso molti errori, il primo fu accentrare su di sé ogni decisione, da quelle strategiche e globali a quelle più minute. Un tradimento dei principi rivoluzionari? Certo. Farsi imperatore voleva dire superare sia l'istituto monarchico dell' ancien régime, sia le istituzioni della Repubblica, creare qualcosa di assolutamente nuovo. Ma la verità è che Napoleone non tollerava di condividere il potere con nessuno. Un parallelo possibile si potrebbe fare - forzatamente, perché la storia non si ripete mai del tutto uguale - con quei governanti che vogliono abolire gli impacci, le lentezze, le mediazioni che la democrazia richiede, che tagliano corto attribuendosi poteri assoluti. Ma anche se la meccanica del gesto è la stessa, le motivazioni e le conseguenze sono ogni volta profondamente diverse.

Secondo lei, certi processi politici si inquadrano nell'era di internet?

La nostra è un'epoca senza certezze. Stiamo vivendo una rivoluzione che ogni Paese declina a modo proprio, ma c'è un dato comune: stiamo passando dalla civiltà della scrittura e della carta a quella del web, elettronica e tutte le certezze sulle quali la civiltà della carta era costruita - e alle quali ci eravamo abituati - sono venute meno. In un'epoca di incertezza, cercare false certezze, così come cercare o addirittura creare false notizie su cui basarle, è un modo per scampare alla mancanza di senso, per creare punti di appiglio, per dare una spiegazione per ciò che avviene. Anche a livello politico in Italia ci si basa talvolta su delle pseudo certezze o su false notizie: dalle scie chimiche lasciate dagli aerei ai chip che gli americani inseriscono sotto pelle, fino ai complotti dell'alta finanza, tutte queste "passioni" sostituiscono la verità perché la verità è diventata difficile da capire e allora si cerca di semplificarla. Questa è la ragione profonda del diffondersi del complottismo.

Cosa pensa del sovraccarico informativo in riferimento all'attuale emergenza sanitaria, la cosiddetta infodemia?

In termini comunicativi è un male, perché la pluralità delle fonti fa sì che circolino ipotesi contrastanti tra loro, aumentando la confusione dei profani, i quali stentano a orientarsi. Lei mi dirà: ma allora vuole abolire la libertà di circolazione dell'informazione? No, non abolirla, però vorrei che la qualità venisse controllata di più. Non va bene che qualunque medico compaia davanti a una telecamera e dica la sua su temi di cui non è uno specialista. Chi parla nella comunicazione pubblica deve essere una persona competente, altrimenti si rischia prima di tutto di diffondere voci che possono creare allarme ingiustificato, e poi di fuorviare le persone fino al punto di diffondere false terapie addirittura nocive, come del resto è già accaduto in passato: pensi a certe pseudo-terapie contro il cancro, drammatiche e ridicole insieme.

Sul piano personale, come sta vivendo questo periodo?

Sono vaccinato. Sto molto a casa e lavoro molto. Da questo punto di vista, come tutti quelli che svolgono un lavoro come il mio, sono un privilegiato. La pandemia ha abolito tanti piacevoli passatempi, le presentazioni dei libri, le vernici delle mostre, le cene tra amici. Si è rinunciato a qualcosa ma si è guadagnato tempo. Ne approfitto per lavorare di più e questo mi diverte.

Con "Quante storie" la cultura e la lettura hanno uno spazio quotidiano in televisione. È quindi ancora possibile fare buona divulgazione?

Assolutamente sì. Anzi, è una cosa talmente sentita che la messa in onda una bellissima edizione della Traviata - qualche settimana fa - in prima serata ha fatto un milione di spettatori, una cifra che consola anche se non è niente rispetto ai sei milioni di certi show tv. Così come con la puntata di "Città segrete" dedicata a Firenze, vista da 2,3 milioni di persone che hanno voluto seguire dall'inizio alla fine un programma di più di due ore dedicato alla storia politica, culturale e umana di una delle città italiane più importanti. C'è fame di queste cose e bene fa la Rai a soddisfare questo appetito.

Con "Telefono giallo" ha inaugurato la tv verità. Che opinione ha della trasformazione di questo tipo di televisione?

La differenza tra allora, era il 1987, e adesso è che il nostro lavoro - dico nostro perché non era un lavoro mio, ma di una squadra agguerrita - era meticoloso, lungo, svolto indagando su vecchi casi di omicidi, il crimine per antonomasia, il gesto di Caino. Ci basavamo sugli atti giudiziari, sui verbali della polizia, su una documentazione solida alla quale potevamo attingere proprio perché si trattava di casi passati. Oggi invece, si va in televisione tre giorni dopo il fatto e quelli che intervengono sono persone che hanno solo letto i giornali. La differenza è nella qualità dell'istruttoria, del lavoro preparatorio.

Nel suo "Breviario per un confuso presente" (Einaudi) descrive come "incessanti, e talvolta allarmanti, le innovazioni scientifiche e tecnologiche". Perché?  

Le novità della scienza hanno sempre provocato un rifiuto, per tante ragioni. Perché scuotono certezze che si ritenevano assodate per sempre, perché - mi riferisco al passato, come accadde al povero Galilei - contraddicono le Sacre Scritture le quali, con ogni dovuto rispetto, sono testi che nulla hanno a che vedere con la scienza. Perché alle volte le nuove tecnologie si presentano con potenzialità effettivamente spaventose, anche quelle che oggi appaiono ridicole. Spaventava vedere avanzare una locomotiva a carbone che sbuffava, faceva fumo, rumore, se ne udiva il fischio stridulo. Spaventò la scoperta dell'energia atomica sulla quale ci si posero domande inquietanti nel '44, prima di decidersi a utilizzarla a fini militari contro il Giappone. Oggi spaventa il progresso velocissimo di chi opera sul Dna e sulla sua clonazione, sino alla tentazione di usarla su un essere umano, che è quello al quale arriveremo, secondo il mio modesto parere, perché gli interessi che spingono in quella direzione sono troppo forti. La prima reazione davanti alla novità è sempre lo spavento, poi c'è un'altra fase nella quale si capisce quali vantaggi possano derivarne. La locomotiva a vapore che terrorizzava i contadini quando la vedevano passare è un mezzo ormai superato, ma ha fatto capire che si potevano percorrere gli stessi chilometri in un decimo del tempo impiegato andando a cavallo. Gli effetti delle novità scientifiche sono sempre, contemporaneamente, di timore e di fascino.

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