Chissà se li troveremo mai
La ricerca di esseri alieni ha sempre stuzzicato la fantasia degli umani, a partire da quelli che credono nella loro esistenza fino agli scettici. La questione non poteva perciò non incuriosire la comunità scientifica, che ha creato un campo di indagine sulla ricerca di esseri viventi al di fuori del nostro pianeta. Luciano Anselmo dell’Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione "Alessandro Faedo" del Cnr ci aiuta a capire quali sono le possibilità, secondo la scienza, di trovare prove dell’esistenza di forme di vita nel resto dell’universo
Che si presentino con la grazia de “Il piccolo principe” o nella spaventosa forma delle astronavi di “Independence Day”, l’idea degli alieni che vengono a farci visita sulla Terra ha sempre avuto un fascino particolare per tutti, fiduciosi o meno nella loro esistenza. Se venissero a cercarci loro, da un certo punto di vista ci semplificherebbero il lavoro; ma poiché ancora non esistono evidenze solide e convincenti dell’esistenza di altri esseri intelligenti in grado di intraprendere viaggi interstellari, gli scienziati si sono messi a cercarli scrutando il cielo, per cogliere eventuali segnali provenienti dallo spazio.
La ricerca di possibili forme di vita aliene resta però, dopo settant’anni di ricerche approfondite, ancora un appassionante problema aperto per la stragrande maggioranza della comunità degli studiosi dell’argomento. Non sapendo bene cosa si va a cercare, di che forma, dimensione o tipologia, gli scienziati possono spaziare liberamente con la fantasia, partendo comunque sempre da solide basi scientifiche: dalla ricerca di ipotetici segnali elettromagnetici alieni inviati nello spazio infinito all’individuazione di pianeti potenzialmente abitabili al di fuori del sistema solare (quelli più vicini a noi, entro i 50 anni-luce, sono qualche decina), la scienza si è mossa su vari fronti per capire quali altre forme di vita potrebbero abitare l’universo.
Come mai allora, dopo tanti tentativi di ricerca di vita aliena con tecniche sempre più sofisticate non siamo ancora riusciti nell’impresa? Lo abbiamo chiesto a Luciano Anselmo dell’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione “Alessandro Faedo” (Isti) del Cnr. “Solo nella Via Lattea ci sono centinaia di miliardi di stelle e le tecniche utilizzate a oggi non garantiscono di coprire tutte le possibilità; semplificando al massimo, siamo nella situazione di ricercare il fatidico ago nel pagliaio. Secondo la parte di scienziati che possiamo definire ottimisti, non abbiamo risultati perché siamo solo agli inizi; lo spazio è immenso e dobbiamo ancora cercare nei luoghi giusti”, spiega il ricercatore.
Per gli scienziati pessimisti, invece, le ricerche condotte finora avrebbero già dovuto evidenziare i segni inequivocabili dell’esistenza di civiltà aliene molto più sviluppate della nostra, che è quello che ci si aspetterebbe di vedere sulla base di argomentazioni statistiche. “L’assenza di tali evidenze potrebbe indicare che le civiltà tecnologiche sono destinate a durare poco, andando incontro a forme di collasso dovute ad autodistruzione o esaurimento delle risorse”, chiarisce Anselmo. “Un secondo motivo potrebbe essere che l’intelligenza, in parallelo a coscienza e capacità tecnologiche, è una caratteristica che si sviluppa molto raramente nei processi evolutivi delle specie”. Sarebbe dunque molto difficile, secondo gli scienziati pessimisti, trovare forme di vita evolute che potrebbero incrociare la loro esistenza con la nostra.
Per i pessimisti, inoltre, queste ipotetiche civiltà tecnologiche non soltanto sarebbero separate tra loro da uno spazio enorme, ma anche isolate nell’immensità del tempo cosmico. Si svilupperebbero, in pratica, sino a scomparire in tempi diversi, senza che i segni del loro passaggio possano entrare in contatto con le civiltà precedenti o successive. Nessuna possibilità di incontro, dunque, tra noi e gli alieni. “L’umanità potrebbe essere l’ultima arrivata di un club non molto numeroso di civiltà tecnologiche galattiche, tutte più sviluppate della nostra ma ancora da scoprire (versione ottimista) oppure essere addirittura l’unica del suo tempo (versione pessimista). Quest’ultima possibilità non implicherebbe però che la vita sia appannaggio della sola Terra”, prosegue l’esperto. Secondo le stesse argomentazioni statistiche viste poco sopra, infatti, sarebbe molto più probabile la scoperta di esseri molto più elementari, simili per esempio ai nostri batteri. Alieni, quindi, non paragonabili a noi, quanto piuttosto alle forme di vita più semplici che abbiamo sulla Terra.
La vita, in queste forme più elementari, potrebbe essere molto diffusa nell’universo, sebbene non nella forma delle rare e sporadiche civiltà tecnologiche che ci piace immaginare. “A prima vista, rilevare l’esistenza di questi alieni microscopici su mondi di altri sistemi stellari sembrerebbe un’impresa disperata. Eppure, alla fine potrebbe essere più semplice scoprire minuscoli batteri piuttosto che grandi civiltà aliene intelligenti. I batteri, infatti, pur essendo molto piccoli, sono delle fabbriche biochimiche miniaturizzate e possono diventare talmente numerosi da cambiare nel tempo la composizione dell’atmosfera del pianeta che li ospita. Questo è accaduto anche nel passato della Terra, quando specie primordiali di cianobatteri arricchirono di ossigeno la nostra atmosfera”, conclude Anselmo.
Gli strumenti per questa impresa ardua, ma non impossibile, ci sono e molti sono in fase di realizzazione. Un esempio tra tutti, il James Webb Space Telescope, successore dello storico Hubble: tra le capacità di questo potente telescopio spaziale c’è anche quella di poter analizzare la composizione chimica delle atmosfere di pianeti extrasolari simili alla Terra. Non dovremmo quindi sorprenderci troppo se, nel prossimo decennio, i primi esseri alieni a venire scoperti saranno dei microrganismi su un lontano pianeta di un’altra stella.
Fonte: Luciano Anselmo, Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione “Alessandro Faedo”, luciano.anselmo@isti.cnr.it