Invasioni biologiche: un fenomeno difficile da arginare
Tipico esempio sono le specie aliene che arrivano nei nostri mari alterando gli ecosistemi e minacciando le specie locali. Ernesto Azzurro, ricercatore dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Cnr, fa un quadro della situazione, spiegandone le cause, le conseguenze e quali interventi possono essere effettuati per contrastarla
Le specie marine esotiche, aliene o non indigene, sono quelle introdotte per azione dell’uomo in un luogo diverso da quello di origine. Una volta rilasciate in un nuovo ambiente, esse possono sopravvivere, riprodursi, aumentare di numero e diffondersi, divenendo così una possibile minaccia per le specie autoctone, come per interi ecosistemi. Le specie aliene possono essere trasportate sia in modo volontario che accidentale e raggiungere così siti in cui naturalmente non riuscirebbero ad arrivare da sole. Quelle del Mediterraneo, sempre più diffuse e in continuo aumento, rappresentano uno dei maggiori meccanismi di alterazione delle comunità e degli ecosistemi dei nostri mari. Ad aiutarci a comprendere meglio questo fenomeno e quali effetti ha nei nostri habitat marini - ma non solo - è Ernesto Azzurro dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine (Irbim) del Cnr: “A livello globale le invasioni biologiche rappresentano la più grande minaccia per la biodiversità dopo la distruzione degli habitat e caratterizzano fortemente la nostra epoca, avendo cambiato improvvisamente e in modo irrevocabile le regole della natura. Alla base di questa problematica, che ha radici storiche, ci sono oggi le migliaia di navi e di aerei e i milioni di tonnellate di merci che vengono trasportate da un capo all’altro del pianeta e, con esse, anche innumerevoli organismi che possono sopravvivere, riprodursi e creare nuove popolazioni una volta rilasciati in un nuovo ambiente. Non tutte le specie introdotte creano problemi, ma circa il 10% può farlo, diventando invasive, aumentando di quantità e diffondendosi a scapito di molte di quelle native, endemiche e vulnerabili”.
Gli effetti di queste “invasioni aliene” hanno anche un peso economico. “Secondo l’ultimo rapporto dell'Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), la Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, che costituisce la massima autorità scientifica mondiale in tema di biodiversità e servizi ecosistemici, le specie aliene invasive costano al mondo oltre 400 miliardi di euro ogni anno (circa il 5% del Pil mondiale) e oltre il 90% di questi danni economici deriva dalla perdita dei servizi ecosistemici, in particolare da danni alle produzioni, quindi all’agricoltura, alla pesca e all’acquacultura”, aggiunge il ricercatore.
Pesce scorpione
Il Cnr-Irbim è molto impegnato nello studio di questo fenomeno, segue con attenzione l’evoluzione dell’introduzione di nuove specie ittiche nel Mediterraneo attraverso il geoportale Ormef, grazie al quale, oltre a monitorare la situazione attuale, può fare ipotesi su quella futura. “Attraverso questa banca dati interattiva e accessibile a tutti, possiamo mappare l’attuale distribuzione delle specie aliene e ricostruire la storia di ogni invasione, dalla fine dell’800 sino ai giorni nostri. Ciò che emerge, facendo scorrere la barra del tempo, è una chiara accelerazione del fenomeno a partire dagli anni ’90: oggi, molte specie tropicali, come il pesce scorpione, il pesce palla maculato, il pesce coniglio e altre ancora raggiungono le nostre coste. Ma ogni anno ricercatori di tutti i Paesi del Mediterraneo continuano a segnalare nuove introduzioni. A poca distanza dal nostro Istituto e grazie alla solida collaborazione tra i ricercatori del Cnr ed i pescatori locali abbiamo di recente identificato per la prima volta la presenza di altre due specie di portunidi, granchi appartenenti alla stessa famiglia del granchio blu atlantico: il granchio blu del Mar Rosso (Portunus segnis), famoso per aver invaso la Tunisia, e il granchio crocifisso (Charibdis feriata). Entrambe le specie non erano mai state osservate prima in Adriatico e il loro arrivo è attribuibile al trasporto navale”, precisa Azzurro. “Possiamo dire, basandoci su numerose evidenze scientifiche, che il mare del futuro sarà molto diverso da quello che abbiamo conosciuto. Ma in realtà un cambiamento epocale è già avvenuto, basta spostarsi un po’ a est lungo le coste della Grecia o della Turchia e fare un bagno con la maschera per vedere una fauna quasi tutta tropicale, costituita da specie più adatte ad acque calde, che hanno già rimpiazzato le specie native del Mediterraneo. Alcune di queste vengono pescate, vendute al mercato, servite ai ristoranti, come le triglie del Mar Rosso, i pesci coniglio o i pesci scorpione. L’ altra faccia della medaglia è il crollo della biodiversità nativa, l’avanzare dei deserti sottomarini e un mare che cambia rapidamente sotto gli impatti multipli delle invasioni biologiche, dei cambiamenti climatici e di una moltitudine di altre attività antropiche. Molti di questi organismi alieni sono arrivati nelle nostre acque a bordo delle navi che trasportano da noi merci provenienti da località lontane come per esempio pacchi di pasta a base di grano russo oppure t-shirt fabbricate in India o cuffiette made in China”.
Ma cosa si sta facendo e cosa si può fare per contrastare questo fenomeno? “Prevenire l’introduzione di specie aliene è uno dei 23 obiettivi che la ‘Convenzione sulla diversità biologica’ (il più importante trattato internazionale nel campo della conservazione della natura) si è data per il 2030. Un fine ambizioso, che punta a ridurre i tassi di introduzione e insediamento di altre specie aliene invasive conosciute o potenziali di almeno il 50%. Lo scenario generale continua però a peggiorare negli ambienti naturali, secondo le previsioni, il numero delle specie aliene potrebbe aumentare di oltre il 30% entro il 2050, con una crescita dei relativi impatti e costi economici”, conclude l’esperto, che aggiunge: “Informare i cittadini sulla pericolosità delle invasioni biologiche e diffondere buone pratiche e codici di condotta possono essere azioni fondamentali per mitigare il problema. Ci sono poi importantissime convenzioni, regolamenti e leggi entrate recentemente in vigore in tutto il mondo, e queste sono buone notizie. Tuttavia, esiste un’oggettiva difficoltà nel ridurre la crescita delle specie aliene mantenendo l’attuale ritmo di crescita economica e gli attuali accordi di libero commercio: di fatto, il problema delle invasioni biologiche, sta continuando a crescere insieme all’incremento dei nostri consumi e del mercato globale”.
Fonte: Ernesto Azzurro, Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine, ernesto.azzurro@cnr.it