La chiave di dèi e natura: l’unità di misura
Ogni civiltà ha cercato di comprendere la natura e il volere divino attraverso le unità di misura: dall’invenzione della scrittura in Mesopotamia al sistema metrico decimale. In “Oltre misura” (Mondadori) James Vincent, con lo stile del giornalista scientifico, racconta come siamo riusciti a misurare (quasi) tutto
Misurare è capire. Cioè conoscere e, possibilmente, usare. È questa la tesi che attraversa il nuovo saggio del giornalista scientifico James Vincent, “Oltre misura” (Mondadori), che è allo stesso tempo un libro di storia della scienza e un reportage personale. Nel volume Vincent racconta con semplicità la storia della misurazione, dalle prime forme (forse i solchi su delle ossa), passando per la scrittura cuneiforme e arrivando al sistema metrico, al quoziente intellettivo (Qi) e al ruolo della quantificazione nella società contemporanea. Il ruolo della misurazione e dei sistemi di misura nella vita sembra essere tanto più fondamentale quanto più ci si avvicina ai giorni nostri. La tendenza a misura ogni aspetto della nostra vita, infatti, sembra essere il cuore di alcune delle cosiddette tendenze economiciste della società occidentale. Dalla misurazione macroscopica della ricchezza (Pil) e della disuguaglianza (indice Gini) alle misure “microscopiche” della vita quotidiana, dalle calorie al numero di passi giornalieri, il mondo della vita somiglia sempre di più a un orologio perfettamente funzionante, mentre il mondo naturale sembra proporre uno scenario ben diverso e decisamente meno meccanico.
In realtà, e questo è uno degli elementi più interessanti del saggio di Vincent, i sistemi di misura sono cambiati nel tempo, non solo perché sostituiti da altri, ma anche per aggiustamenti interni e continui. Basti pensare al modo in cui si è evoluto il concetto di chilogrammo o di metro. Sembra che il grado di precisione delle misure renda conto di due tendenze della storia: l’evoluzione delle esigenze sociali, sempre più specifiche, e l’evoluzione degli strumenti tecnologici, sempre più precisi. Anche se non è un tema direttamente toccato da Vincent, basti pensare all’uso che si fa dei dispositivi wearable, che misurano battiti, calorie e quantità di attività fisica giornaliera; sono proprio gli orologi che indossiamo al polso a dimostrare la commistione tra esigenze della società (cioè degli individui) e sviluppo tecnologico.
Tuttavia, la misurazione è, come suggerisce il sottotitolo del saggio, anche un modo di interpretare la natura e per questo precede di molto quello che lo storico della scienza Alexandre Koyré ha descritto come il passaggio “dal mondo del pressappoco all’universo della precisione”, avvenuto con la cosiddetta Rivoluzione scientifica. In realtà, come proposto da molti studiosi (in Italia da Lucio Russo, grazie al suo - ormai classico - “La rivoluzione dimenticata” (Feltrinelli) del 1996 la distinzione tra una scienza puramente qualitativa e una “nuova scienza moderna” sarebbe fin troppo grossolana e poco realistica. Ma resta chiara quell’inversione di tendenza, sottolineata da Koyré, che ha portato gli scienziati moderni ad allontanarsi da una concezione “mitologica” del mondo naturale.
Qual era, dunque, la funzione della misurazione nell’antichità? Se da un lato aveva sempre la sua utilità pratica, proprio come oggi, misurare diventava anche un modo di interpretare o reagire al volere divino, come per le piene del Nilo, che venivano misurate grazie all’uso di colonne o gradini lambiti dall’acqua su cui venivano intagliate delle righe graduate. L’idea di un sapere discreto si inseriva così all’interno di un sistema di conoscenza qualitativo, spesso volto a svelare il volere delle divinità. Vincet dimostra dunque non solo quanto la misurazione sia un fatto ineliminabile nella società, ma addirittura quanto sia necessaria per capire, a qualsiasi livello, teleologico o meccanicistico, come funziona il mondo e come muoversi in esso.
Titolo: Oltre misura
Categoria: Saggi
Autore: James Vincent
Editore: Mondadori
Pagine: 396
Prezzo: 27,00