Il cuore è il primo a perdere colpi
Nonostante negli ultimi due decenni si stia assistendo a un progressivo calo di mortalità per malattie cardiovascolari, sono oltre quattro milioni le persone che ogni anno perdono la vita per tale causa, delle quali circa un milione prematuramente, cioè prima dei 75 anni. Determinanti fumo, abuso di alcol, scorretta alimentazione e sedentarietà. Esporre un quadro della situazione, Giorgio Iervasi, direttore dell'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche
Dolore al petto, difficoltà a respirare, cardiopalmo anche a riposo, accompagnati a volte da nausea e senso di vomito. Tutti segnali da non sottovalutare. Potrebbero nascondere una malattia cardiovascolare (Cv), prima causa di morte nel mondo occidentale. La Cv colpisce indistintamente uomini e donne, soprattutto over 60, seppur con alcune differenze. Le malattie ischemiche del cuore sembrano prediligere i maschi, mentre quelle cerebrovascolari, ischemie cardiache e altre patologie del cuore, le femmine. Anche se stanno diventando sempre più determinanti fattori di rischio più strettamente legati a comportamenti e stili di vita, come fumo, abuso di alcol, scorretta alimentazione e sedentarietà.
“In Europa, nonostante si stia assistendo negli ultimi due decenni a un progressivo calo di mortalità da Cv, sono oltre 4 milioni le persone che ogni anno perdono la vita, delle quali circa un milione prematuramente, cioè prima dei 75 anni”, spiega Giorgio Iervasi, direttore dell'Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Di rilievo, il dato (ministero della Salute) della mortalità extra ospedaliera per un evento acuto di Cv, che a oggi, specie nei soggetti con età compresa fra 35 e 65 anni, risulta fatale nel 40% dei casi. Mentre la mortalità annuale mondiale si attesta intorno ai 17 e 18 milioni di eventi l'anno, pari a circa il 30-40% di tutte le cause di morte (American College of Cardiology 2012)”.
Fra le malattie Cv, la cardiopatia ischemica - che include l'infarto miocardico, l'angina pectoris, lo scompenso cardiaco e la morte coronarica - rappresenta oggi la principale causa di morte anche in Italia, con una mortalità che supera i 200 mila decessi l'anno (dati Istat/Iss) “Degli oltre 50 mila casi di decessi l'anno in Italia per morte cardiaca improvvisa fra i 20 e 60 anni di età, circa l'80% è dovuto a cardiopatia ischemica”, aggiunge Iervasi (linee Guida della Società europea di cardiologia sulla prevenzione della morte improvvisa 2015).
Il malato che, invece, riesce a superare l'evento acuto, diviene quasi inevitabilmente un malato cronico, che presenta un progressivo peggioramento della funzione dei vari organi e apparati (renale, respiratorio, muscolare etc.) e della qualità della vita, con un costo, anche economico, per la società. “Quasi un quarto della spesa sanitaria nazionale è attualmente destinata ai farmaci per il sistema cardiovascolare. Una spesa che si stima possa addirittura raddoppiare nei prossimi 10 anni”, prosegue il direttore del Cnr-Ifc.
Nemico insidioso, perché a volte senza sintomi, è, in particolare, la cardiopatia ischemica, una malattia multifattoriale dove familiarità, diabete, ipertensione, sovrappeso/obesità, dislipidemia, fumo di sigaretta e sedentarietà rappresentano i principali fattori di rischio e la prevenzione lo strumento più importante per combatterla. “Un'erronea convinzione ha fatto comunemente ritenere fino a non molto tempo fa che la malattia Cv e, in particolare, la cardiopatia ischemia, fosse una malattia tipica del sesso maschile”, afferma Iervasi. “I dati smentiscono questa affermazione. A fronte di un tasso di ospedalizzazione in Italia quasi doppio negli uomini rispetto alle donne per patologie acute Cv, la mortalità in Europa, sia in termini assoluti che percentuali è maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Infatti, mediamente in Italia ogni anno muoiono per eventi Cv acuti 96 mila uomini e 124 mila donne”.
Sebbene le donne mostrino un esordio clinico della malattia cardiaca ischemica con un ritardo di oltre 10 anni rispetto agli uomini, perché significativamente protette fino all'epoca della menopausa, gli eventi cui vanno incontro sono, invece, più gravi. “Inoltre, Il quadro clinico risulta talvolta meno definito, soprattutto il sintomo principale, il dolore, che appare non solo più sfumato, ma anche localizzato in sedi atipiche, determinando così ritardi sia nella diagnosi sia nel trattamento terapeutico”, continua il direttore del Cnr-Ifc.
Gli stessi fattori di rischio Cv modificabili, quali obesità, diabete, ipertensione, dislipidemia e stili di vita inadeguati e impropri (sedentarietà e fumo di sigaretta) vengono riconosciuti e trattati efficacemente solo in una piccola percentuale dei casi. “Benché il grado di consapevolezza del rischio in questi ultimi anni sia in aumento”, specifica Iervasi, “la prevalenza delle persone con un profilo di rischio basso risulta ancora ben al di sotto del 10% in entrambi i sessi e nella fascia di età fra 35 e 80 anni, attestandosi, quindi, ben al di sotto del 50% della popolazione”.
Una possibile soluzione potrebbe essere creare un modello predittivo del rischio paziente-specifico e placca-specifico che integri, in una piattaforma unica, tutti i fattori locali e sistemici individuali del paziente, da elaborare con modelli statistici complessi, per poi validare, in una popolazione con diversi gradi di severità di malattia e frequenza di eventi, uno strumento di supporto alla decisione clinica. “A questo scopo è stato ideato il progetto SMARTool (Simulation Modeling of coronary ARTery disease: a tool for clinical decision support), per fornire a medici e strutture ospedaliere uno strumento avanzato per la diagnosi precoce e la stratificazione del rischio nei pazienti con malattia coronarica, al fine di migliorare non solo la prevenzione primaria e secondaria ma anche il trattamento delle manifestazioni acute, prima fra tutte l'infarto miocardico”, conclude Iervasi.
Fonte: Giorgio Iervasi, Istituto di fisiologia clinica, Pisa, tel. 050/31520163302 , email iervasi@ifc.cnr.it -