Focus: Svanire

Pandemie senza fine

Coronavirus
di Giovanni Maga

Alla base della diffusione dei virus nelle comunità umane c'è il cosiddetto “spillover”, ossia il "salto" da altre specie animali. Una volta arrivati tra noi, questi microrganismi tendono a scalzare quelli che li hanno preceduti e, di fatto, non scompaiono mai del tutto. Le conseguenze patologiche e sanitarie possono però essere molto diverse, in funzione di vari fattori. A spiegarcelo è Giovanni Maga, direttore del Dipartimento di scienze biomedicali del Cnr

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Il 5 maggio 2023  l'Organizzazione mondiale della sanità ha ufficialmente dichiarato la fine dell'emergenza sanitaria dovuta alla pandemia della Covid 19. Erano passati poco più di tre anni dall'11 marzo 2020, quando era stata dichiarata l’emergenza pandemica. Ma cosa significa questa dichiarazione? Certamente non che il virus SARS-CoV-2 sia scomparso. Le infezioni continuano a verificarsi ovunque, anche nel nostro Paese se ne registrano alcune migliaia ogni settimana, ma è cambiato lo scenario. Grazie all’immunità diffusa ottenuta con la vaccinazione di massa spesso combinata con la guarigione dall’infezione, cui si sommano le caratteristiche di minore patogenicità delle attuali varianti virali, oggi le manifestazioni cliniche del contagio non sono più tali da dover essere gestite in un contesto emergenziale. Rimane alta l’attenzione per le persone fragili, ma in generale siamo ormai in una fase di gestione ordinaria della malattia, al pari cioè di altre infezioni da virus respiratori.

Questo è, storicamente, quanto accade alla fine di un evento pandemico. L'11 giugno 2009 l'Oms dichiara la pandemia influenzale da virus H1N1e poco più di un anno dopo, il 6 agosto 2010, dichiara ufficialmente la fine della pandemia. Ma H1N1 è rimasto: è uno dei due virus influenzali di tipo A, che insieme al virus H3N2 causa le epidemie stagionali di influenza. Anche H3N2 ha causato una pandemia di influenza, quella del 1968-’69. E da allora circola come virus stagionale.

I virus pandemici sono un po' malati di protagonismo, ovviamente senza attribuire loro nessuna volontà, i virus sono delle macchine molecolari che replicano i loro geni a spese delle cellule, nel senso che non solo tendono a non lasciare il palcoscenico che si sono conquistati, ma cercano di scalzare i loro predecessori. Il virus H3N2, al suo arrivo nel 1968 ha spazzato via il precedente virus stagionale H2N2, responsabile della pandemia di influenza del 1957-’60. Allo stesso modo, il virus H1N1 del 2009 ha sostituito il precedente stagionale di tipo H1N1 (si chiamava allo stesso modo ma era del tutto diverso, discendeva da quello dell’influenza cosiddetta spagnola del 1918-’20).

Ci sono poi virus che giocano a nascondino: causano un’epidemia poi scompaiono, per riapparire magari anni dopo. Un tipico esempio è Ebola: dopo aver causato piccole epidemie in Africa tra il 1977 e il 1979, non si è più fatto vedere per 10 anni. Per poi ripresentarsi a intervalli di 2-4 anni, fino alla grave epidemia del 2014-‘15 e da lì nuovamente causare piccoli focolai a intermittenza. Un altro virus che compare a intermittenza è Nipah. Identificato nel 1999, causa focolai di infezione sporadici in Asia e India ogni 2-3 anni. Altri virus, invece, apparentemente hanno fatto capolino nella popolazione umana una volta e poi se ne sono ritornati da dove venivano. Il coronavirus SARS-CoV-1, responsabile dell’epidemia del 2003-2004, dopo aver contagiato circa 8.000 persone e averne uccise circa 800 non si è più ripresentato.

Persona con influenza

Fuor di metafora, tutti i casi citati in realtà sottendono a un medesimo meccanismo: il travaso di virus agli esseri umani da altre specie animali, altrimenti detto con termine anglosassone molto di moda lo “spillover”. Tutti i virus che infettano l’uomo sono il risultato di un salto di specie. Il morbillo, ad esempio, ci è stato regalato da roditori selvatici, attraverso un passaggio di adattamento nei bovini, circa 10.000 anni fa. Ma non tutti quelli che fanno il salto di specie diventano pandemici.

L’incontro di un virus con un nuovo ospite può avere diversi esiti. Se l’ospite è pienamente suscettibile, il virus fa festa e si riproduce allegramente nell’organismo infetto contagiando poi altri individui e, quindi, causando un’epidemia (e se è proprio bravo a diffondersi anche una pandemia). L’ospite potrebbe invece essere suscettibile al contagio, ma per diverse ragioni non consentire al virus di uscire e contagiare altri. Si tratta, insomma, di un rapporto individuale o, in termini più rigorosi, di un’interazione a vicolo cieco: il virus infetta un individuo ma questo non ne contagia altri. È il caso, ad esempio, del virus dell’influenza aviaria H5N1 o del coronavirus della MERS.

In queste relazioni complicate tra virus e nuovo ospite, entra in gioco anche l’ambiente. Se la specie serbatoio, da cui proviene il virus entra in contatto con il nuovo ospite, ad esempio l’essere umano, solo in occasione di cicli stagionali, attività agricole o particolari dinamiche sociali, le epidemie possono presentarsi con un andamento sporadico. Se il focolaio di infezione riguarda comunità isolate in aree geografiche a bassa densità di popolazione, si esaurisce da solo senza causare epidemie estese. Viceversa, se il virus arriva in una zona molto popolosa, ad esempio una città, il quadro può cambiare drasticamente. È quanto è accaduto quando Ebola nel 2014-’15 ha raggiunto centri urbani importanti dell’Africa centro-occidentale, contagiando quasi 30.000 persone e uccidendone oltre 11.000, laddove le precedenti epidemie nelle aree rurali dell’Africa centrale si limitavano a qualche decina di casi. Infine, se si identificano la specie serbatoio e la modalità di trasmissione, talvolta è possibile mettere in campo misure preventive che limitino o evitino del tutto il rischio di spillover. SARS-CoV-1 lo abbiamo (per ora) allontanato così.

Non facciamoci illusioni: i virus che hanno già trovato la strada per contagiarci non scompaiono. Possono nascondersi ma prima o poi riemergono. E oltre a loro, sappiamo che nella biosfera sono presenti migliaia di specie virali a noi ignote, potenzialmente in grado di effettuare il salto di specie, perché già adattate a mammiferi quali primati, roditori, pipistrelli. La nostra migliore difesa è perseguire sempre più una politica di salute globale. One Health significa avere cura dell’ambiente nella sua totalità, rispettando gli equilibri degli ecosistemi e ripristinando, ove possibile, quelli che abbiamo compromesso.

Fonte: Giovanni Maga, Istituto di genetica molecolare, giovanni.maga@igm.cnr.it

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