Mio fratello è figlio unico. Geneticamente
Come mai all’interno della stessa famiglia crescono persone così diverse? Per sapere come la scienza spiega le differenze comportamentali, abbiamo parlato con Paolo Vezzoni, ricercatore dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche
Non è raro che fratelli e sorelle di una stessa famiglia siano molto diversi tra loro, non solo fisicamente ma anche caratterialmente, per esempio uno mite e l’altro aggressivo, con personalità differenti, in alcuni casi antitetiche, malgrado abbiano gli stessi genitori e magari si somiglino somaticamente. Un caso emblematico è quello di Abele e Caino, tanto buono l’uno quanto cattivo l’altro, al punto che in un eccesso d’ira (o di gelosia?) Caino arriva a uccidere Abele. Esiste una spiegazione scientifica? C’entra il genoma, l’influenza dei fattori ambientali o entrambi?
Il dibattito sulla capacità dell’uomo di definire il proprio destino affonda in radici antiche. Già Epicuro rimproverava a Democrito che la sua visione del mondo non lasciasse spazio alla libertà umana. Muovendosi nella cornice di pensiero stabilita dai Greci, nei secoli successivi varie culture hanno affrontato questo aspetto, aggiungendo talora argomentazioni nuove. “Nell’ambito della società in cui stiamo vivendo, da un paio di decenni è entrato sulla scena il dibattito sul determinismo genetico, che si propone di definire se e in che misura il nostro destino sia scritto nel Dna. In effetti, la genomica ha introdotto una nuova prospettiva, in una rivisitazione di problemi antichi mediante tecnologie recenti”, commenta Paolo Vezzoni, ricercatore associato dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica (Irgb) del Cnr.
La convinzione che i tratti caratteriali di un individuo si trasmettano di generazione in generazione è antica. Con l'avvento della genetica, la questione si è trasformata nella ricerca di quali geni influenzino un dato comportamento e in quale misura. E' un problema ancora fortemente controverso e si conosce poco dei meccanismi che la regolano. “Oggi sappiamo che nell’ambito della stessa specie vi sono milioni di piccole differenze tra un genoma e l’altro: secondo alcuni, qui si potrebbe trovare la spiegazione delle nostre differenze, non solo fisiche ma anche comportamentali. Secondo i deterministi genetici, i comportamenti sarebbero solamente tratti genetici estremamente complessi”, spiega l’esperto.
La scienza sta ancora indagando come distinguere l'influenza dei geni da quella dell'ambiente. Per gli animali da laboratorio lo studio si focalizza sugli aspetti del comportamento che si possono manipolare e studiare in condizioni in cui le differenze ambientali tra gli individui sono minimizzate. "Lo studio è stato affrontato in due modi diversi: inattivando l'espressione di particolari geni e studiando le variazioni naturali del comportamento negli animali. Nell’uomo, le malattie genetiche neurologiche o psichiatriche forniscono il corrispettivo di questi studi nel regno animale. Le principali informazioni ottenute da animali in laboratorio hanno rivelato che più geni contribuiscono a un singolo aspetto del comportamento e ogni gene partecipa a molteplici aspetti. Il comportamento è una proprietà emergente dall'interazione di molti sistemi all'interno dell'organismo. I geni codificano la sintesi delle proteine, le proteine costruiscono i costituenti delle cellule, le cellule formano il sistema nervoso e altri organi: il sistema nervoso, in ultimo, dà origine al comportamento. I geni così partecipano a tutti i maggiori processi biologici quali lo sviluppo, la fisiologia e la biochimica dei segnali intracellulari, ma la mappatura genomica non può prescindere dalle condizioni esterne. Basti pensare all’obesità, in cui l’influenza ambientale è oggi evidentissima. In questo caso, è possibile che si affermi un concetto di determinismo ‘quantitativo’, inteso come una misura della predisposizione a una certa malattia. Il concetto di predisposizione è usato e accettato in medicina da lungo tempo, ma è rimasto assai indefinito. È tuttavia possibile che in un futuro non molto lontano questa predisposizione possa essere quantificata”, aggiunge Vezzoni, che conclude: “Se accettiamo la definizione del comportamento come un tratto genetico estremamente complesso, è presumibile che, come sta accadendo per altre caratteristiche fisiche quale ad esempio la statura, un giorno si possa avere un’analisi quantitativa della predisposizione a un determinato comportamento, per esempio all’aggressività. È possibile che l’analisi dei milioni di polimorfismi presenti nel genoma definisca persone particolarmente aggressive e che quest'analisi possa un giorno venire accettata dai tribunali. Immaginare uno scenario di tal fatta non dice tuttavia che i dati empirici che si accumuleranno da qui a qualche decennio supporteranno un parziale determinismo genetico: il contributo delle varianti genetiche potrebbe rivelarsi nullo o quasi. Il problema tuttavia sembra, per la prima volta nella storia dell’umanità, testabile empiricamente. Indipendentemente da quale sarà la risposta della genomica comportamentale, la componente genetica non sarà certamente in grado di spiegare tutti i nostri comportamenti”.
Fonte: Paolo Vezzoni, Istituto di ricerca genetica e biomedica, paolo.vezzoni@irgb.cnr.it