Caccia alla balena: coraggio, comprensione, condanna
di M. F.Il viaggiatore Massimo Maggiari, folgorato dalle terre artiche, racconta questo rito cruento e le sue fonti mitologiche e storiche, al di là del giustificato stigma ecologista. La distanza tra la nostra cultura, fondata su libri come la Genesi e il 'Moby Dick' di Melville, e quella degli inuit che ancora cacciano “da un kayak munito di tagliente arpione”, uomini capaci di imprese per noi al limite dell'impossibile, appare in effetti difficile da colmare
Chi ha la fortuna di poter compiere un viaggio nelle aree polari senza intrupparsi nelle rotte iperturistiche, che consentono di raggiungerle a chiunque possa permettersi di pagare il biglietto, così come ormai accade con qualunque meta estrema, si sente un privilegiato e difficilmente resiste alla tentazione di raccontare ciò che ha visto e provato. D'altronde, se qualunque gita fuori porta dà lo spunto per postare decine di foto sui social, la voglia di condividere è ben più giustificata quando si è potuto rimanere soli davanti a uno sconfinato deserto di ghiaccio.
Il ritorno emotivo di queste esperienze dipende dall'adrenalina scatenata dall'avventura e dalla sensibilità personale che, nel caso di Massimo Maggiari, possiamo definire una vocazione. Sulla scia di esploratori ed etno-atropologi come Roald Amundsen e Knud Rasmussen, questo viaggiatore e docente genovese è rimasto vittima della fascinazione esercitata dalle terre artiche in modo graduale ma progressivo. Un rapporto prolungato, continuativo e intenso che - come racconta nel suo 'Al canto delle balene' (Giunti) - lo ha portato a mangiare carne di tricheco cruda, a condividere il giaciglio e la mensa con persone di tutte le età, condizioni e provenienze, a sviluppare una posizione particolare, verso temi complessi quali quelli della sostenibilità: “Cosa rappresenta una balena (arfeq in groenlandese) ai giorni nostri, oltre a essere un enorme mammifero, un cetaceo, una specie protetta o crudelmente perseguitata, quanto pure l'oggetto di ansie protezionistiche di ecologisti o altro?”.
La nostra cultura è fondata su libri come la Genesi, secondo cui “Dio creò grandi balene e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque”, e il 'Moby Dick' di Melville, con la sua “wilderness dell'anima”. Per gli inuit di Qaanaaq in Groenlandia, “l'ultimo angolo di mondo dove le balene sono ancora cacciate da un kayak munito di tagliente arpione”, la figura di fondazione mitologica del grande cetaceo è invece Sedna, Signora delle balene, delle foche, dei trichechi e delle anime dei morti, conosciuta in tutto il circolo planetario sotto diversi nomi grazie a un racconto fin troppo cruento per noi occidentali.
Il libro abbozza un veloce excursus storico, a partire da Erik il Rosso, passando per i vichinghi cristianizzati al nord della Groenlandia che incontrarono gente di bassa statura che chiamarono dispregiativamente “skraelings”, cioè “selvaggi” vestiti con pelli d'animali, avviando una colonizzazione terminata in modo misterioso e improvviso verso il 1500. E tocca inevitabilmente temi come lo scioglimento dei ghiacci, il capitano baleniere William Scoresby nel 1817 fu uno dei primi a notarlo.
Certo, il rito della caccia resta per noi incomprensibile: “Al grido di 'Soffio!' le scialuppe venivano subito calate nelle frigide acque per inseguire la preda. Raggiunta la balena l'arpioniere mirava alla schiena o dietro l'occhio con massimo sangue freddo. Al ferimento, la barca iniziava una spericolata corsa. Durante il traino non rimaneva che stancare il cetaceo con salda fede. Sfinirlo senza pietà”. Ma proprio per questo giudicare frettolosamente è impossibile e non si possono guardare senza stupefatta ammirazione uomini capaci di imprese come percorrere “più di 700 miglia in cinquantacinque giorni” con una mandria di renne, o come quella dei marinai che “avevano camminato sulla banchisa per tre giorni coprendo 65 miglia e dormendo all'addiaccio due notti a temperature di meno 30 gradi”.
Detto ciò, la conservazione del fragile ambiente polare è un dovere ineludibile della comunità internazionale, come tanti reportage attestano in modo drammatico. Citiamo tra gli altri Marzio G. Mian, 'Artico. La battaglia per il Grande Nord' (Neri Pozza) e Matteo Meschiari, 'Artico nero. La lunga notte dei popoli dei ghiacci' (Exorma edizioni). Quanto il mito della balena sopravviva nel nostro immaginario, poi, ce lo ricorda anche il recente 'Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa' di Luis Sepùlveda (Guanda), mentre nell'ambito degli studi etnologici Adelphi ha da poco ripubblicato 'I riti di caccia dei popoli siberiani' di Eveline Lot-Falck.
titolo: Al canto delle balene
categoria: Narrativa
autore/i: Maggiari Massimo
editore: Giunti
pagine: 232
prezzo: € 16.00