Cibo chiama cibo
È quanto sostiene il modo di dire “l’appetito vien mangiando”, riferibile anche ad ambiti diversi da quello alimentare, ma decisamente corretto rispetto ai meccanismi che regolano la fame e l’assunzione del cibo. Specie del junk e fast food, che producono alterazioni del sistema endocannabinoide, determinando una sorta di dipendenza che induce a mangiare sempre di più e male, come spiega Luigia Cristino dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr, che coordina alcune ricerche proprio in questo settore
L’appetito vien mangiando, modo di dire attribuito al vescovo Angest di Mans da Francesco Rabelais (frate umanista e scrittore francese, 1483-1553) nel “Gargantua e Pantagruel”, si usa per evidenziare come l’uomo più ha e più vuole possedere, ed è riferibile sia a beni materiali che ad altri ambiti, come il successo o l’amore. Anche se restiamo nel settore dell’alimentazione, possiamo però affermare che quanto sostiene questa frase è vero. A darcene conferma sono i risultati di alcune ricerche coordinate da Luigia Cristino, ricercatrice presso l’Istituto di chimica biomolecolare (Ibc) del Cnr di Pozzuoli, in collaborazione con il network internazionale dell’Endocannabinoid Research Group (Erg) e con l’Unità mista internazionale Cnr e Università Laval per lo studio del microbioma, questi coordinati da Vincenzo Di Marzo dello stesso Istituto. Gli studi stanno infatti rivelando cosa accade nel nostro cervello quando mangiamo una quantità eccessiva di alimenti ipercalorici per un periodo prolungato e seguiamo la dieta ormai prevalente a livello globale ricca di carne rossa e lavorata, di grassi saturi, di zucchero e carboidrati raffinati e povera di fibre, frutta fresca e verdura.
“Molteplici evidenze scientifiche hanno dimostrato come questo stile alimentare, alterando il nostro microbioma (ecosistema di microrganismi che abita il nostro intestino e che svolge un ruolo chiave nel controllo della fisiologia) sia strettamente correlata all’incidenza di obesità”, sottolinea Luigia Cristino. Ma se questo è noto, occorre capire come mai è così difficile contrastare la sempre maggiore diffusione del fast e junk food, è quindi come le persone a correggere le cattive abitudini a tavola. A tale scopo, è estremamente importante studiare i meccanismi biomolecolari che rendono il cibo spazzatura particolarmente appetibile e in grado di attivare una sorta di dipendenza paragonabile a quella dalle sostanze psicotrope.
I ricercatori del Cnr-Ibc, in questo ambito, hanno raggiunto importanti risultati, come illustra la ricercatrice: “L’assunzione ripetuta di cibi grassi provoca un’alterazione nel sistema endocannabinoide, costituito da piccole molecole lipidiche prodotte dal nostro corpo sia nel cervello sia in organi periferici metabolicamente rilevanti come fegato, pancreas, muscolo e tessuto adiposo, il cui effetto è simile a quello dei cannabinoidi della marijuana, tanto da legarsi agli stessi recettori di membrana cellulare. La funzione fisiologica degli endocannabinoidi è quella di regolare l’omeostasi energetica dell’organismo. Nelle condizioni di digiuno, ad esempio se si salta un pasto, il livello degli endocannabinoidi aumenta stimolando l’appetito per ripristinare l’equilibrio energetico. Molto diverso è il comportamento degli endocannabinoidi nelle condizioni in cui si consumano ripetutamente cibi ricchi di grassi saturi e ipercalorici che ne accrescono eccessivamente la produzione negli organi periferici e soprattutto nell’ipotalamo, la stazione cerebrale di comando della fame e della sazietà. Il risultato è l’alterazione del sistema centrale di controllo dell’appetito e la conseguente perdita della funzione di regolazione omeostatica svolta dagli endocannabinoidi”.
Ma le conseguenze determinate dall’assumere cibi grassi sono evidenti anche in altre aree del cervello. “Nei circuiti mesolimbici, che controllano la percezione del piacere di mangiare, si verifica una vera e propria disinibizione del rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore della ricompensa che fornisce la sensazione di appagamento e gratificazione legata all’ingestione dei cibi appetitosi”, chiarisce Cristino. “Ne consegue un aumentato desiderio di mangiare cibi ipercalorici, il cui consumo genera una gratificazione molto alta, portando all’aumento dell’appetito e allo sviluppo dell’obesità e dei disturbi a essa connessi: diabete, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, ipertensione. Non solo, il prolungato aumento degli endocannabinoidi accresce, in periferia, la capacità di accumulo energetico sottoforma di grasso da parte delle cellule adipose, con conseguente iperproduzione di fattori pro infiammatori”.
Gli effetti negativi di una dieta ricca a livello calorico e caratterizzata da alimenti poco sani non si fermano qui. “Con l’aumento dei livelli di endocannabinoidi, conseguente all’ingestione prolungata di una dieta ipercalorica, è stato registrato un cambiamento nell’attività neuronale dei circuiti della corteccia orbito-frontale e della neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo, aree del cervello che svolgono un ruolo cruciale rispettivamente nel prendere decisioni e nel ricordare le decisioni prese (memoria episodica), anche in merito alla frequenza del consumo di cibo”, conclude l’esperta. “Insieme ad altri colleghi abbiamo dimostrato che i roditori sottoposti per tempi prolungati a una dieta ipercalorica, che non dovrebbero aver fame a causa della maggiore assunzione di calorie, risultavano invece essere più propensi a mangiare. Questa differenza sarebbe causata proprio dal surplus di endocannabinoidi che promuove la motivazione a mangiare ancora, oltre alla sensazione di gratificazione indotta dal consumo di cibi spazzatura”.