Focus: Sonno e sogno

Il futuro, tra origini e destino

Studenti
di Naomi Di Roberto

Fare un determinato mestiere è un auspicio che nasce nel bambino e a volte si realizza nell’adulto. Cosa rappresenta e come evolve questo “sogno”? Ne parliamo con Antonio Tintori, sociologo del Cnr-Irpps

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Da sempre ci si chiede quanto si può essere artefici del proprio futuro e quanto effettivamente si possa e si debba correre dietro ai sogni. Tutto questo dipende certamente dalle possibilità individuali, dalle aspettative, così come dal momento storico che si vive. E, di fatto, le variabili in gioco quando sogniamo, desiderando di fare o diventare, nelle scelte e nelle ambizioni, sono sempre tante e talvolta di difficile gestione. Ma che cos’è che concretamente ci condiziona? “La cosa che spesso più ci condiziona e ci inibisce dal sognare sono le nostre origini”, risponde Antonio Tintori, ricercatore dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Si tratta di quel fattore percettivo che ci dà la misura della nostra posizione nello spazio sociale e, quindi, dei confini dei nostri sogni. Da dove vengo, a quale gruppo appartengo, fin dove mi posso spingere e ciò che ha senso che io possa desiderare di fare sono elementi di uno schema che si vive fin troppo rigidamente”.

Fare un determinato mestiere, intraprendere una specifica carriera o semplicemente avere successo è un sogno che nasce nel bambino e poi, man mano, si realizza nell’adulto. Spesso,  però, abbiamo paura di sognare. “Questo avviene perché in Italia il cosiddetto ascensore sociale è congelato da decenni. Ma in tanti casi è solo una profezia che si autoavvera, dovuta al fatto che solitamente nemmeno pensiamo di poterci astrarre dalla nostra condizione sociale ascrittiva, anche quando ciò appare evidentemente possibile”, afferma il ricercatore. “Possibile perché ognuno di noi è portatore di sogni repressi così come di desideri vividi, di abilità, di passioni, che se solo venissero ascoltate ci darebbero se non altro maggiori chance di vivere in armonia con i nostri interessi, in coerenza con noi stessi, renderebbero più appagante e collettivamente utile la vita. Di fatto, si resta ancorati alle proprie origini e alle proprie idee, anche quando è possibile emanciparsi da esse. Non si sogna. Ma nemmeno ci si ascolta, soprattutto al crescere dell’età. Come se farlo fosse infantile. Meglio allora rimettere i piedi per terra e non guardare oltre la gabbia della rassicurante iper razionalità”.

Laaureati

Attualmente, i giovani non sognano più nella scelta degli studi come un tempo. Sicuramente da un lato si è influenzati dai social media, dalle figure che spopolano in rete, dal confronto fra ciò che hanno gli altri e ciò che si ha; dall’altro vi è anche la pressione dovuta alle proprie origini familiari, e all’economia del posto in cui si vive. “L’orizzonte cognitivo dei ragazzi, pensando alla  formazione e al lavoro, è compromesso dalle maglie dell’origine familiare, economica e culturale, rimesso alla spazialità sociale, quella della città e del quartiere, che delinea la periferia umana, la marginalità, il poter fare e ambire”, dichiara Tintori. “Il rischio è così quello di assumere un atteggiamento di passività nei confronti dell’ipotetico continuum tra passato ascrittivo, presente e futuro, tale da sottrarre spazio all’immaginazione, all’innovazione e ai desideri. Banalizzando, è così che appare ovvio nascere ricco e mantenersi se non altro nel medesimo status, così come è improbabile nascere povero e salire nella scala sociale. Le pari opportunità, soprattutto alla nascita, sono ancora realmente un sogno. Ma le difficoltà insite nella loro assenza sono amplificate dal fatto che non si osa ascoltare le proprie passioni, come il voler intraprendere un percorso di studi lontano dalle proprie esperienze familiari e amicali o scegliere una professione solo perché piace”.

L’individuo viene così catapultato nella vita reale dove uscire da questo tipo di schema diventa tanto, troppo complesso. Il sogno nel cassetto diventa un pensiero intimo da custodire, ma irrealizzabile. E questa consapevolezza non arriva con l’età matura, ma molto prima. “Terminata la scuola secondaria di primo grado, la scelta di quale istituto superiore frequentare è pressoché sempre dovuta alle proprie origini familiari. Nessuno osa divergere da ciò che sa di essere e dover continuare a essere. Questa inibizione al sogno e all’assecondare le proprie passioni è oggi aggravata dal dilagare dell’analfabetismo funzionale, della povertà educativa, dell’abbandono scolastico e dall’illusione, non solo giovanile, di poter eleggere l’opinione a conoscenza; atteggiamento che consegue alla svalutazione dell’importanza dello studio, dell’educazione e della conoscenza offerta dalle fonti autorevoli, che è invece alla base delle chance di crescita e di sviluppo di capacità, competenze e dunque benessere”, continua l’esperto.

I sogni e gli obbiettivi rimangono così spesso irrealizzati. L’individuo,  per forza di cose, smette di crederci, o meglio, tende a evitarlo, ed è proprio evitandolo che finisce per perdere di vista l’obbiettivo, non riconoscendolo più come proprio. “Appare così diffusa una certa distrazione nei confronti del futuro, un nichilismo educativo che a discapito di se stessi ci si rifugia nell’idea del fatum, di  ‘ciò che è detto’, che ha storicamente presupposto il futuro come predefinito, inviolabile, come lineare progressione del presente. Questo potrebbe significare che nel nostro futuro c’è ancora troppo destino? Forse sì, ma sicuramente una scarsa pratica di idee e passioni. Il sogno è un motore potente nel farci guardare dall’alto”, conclude Tintori.

Fonte: Antonio Tintori, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, e-mail: antonio.tintori@irpps.cnr.it