Focus: Super

Il diamante non è per sempre

Diamante
di Alessia Famengo

La reattività chimica e la limitata stabilità termica rendono il diamante, tra i materiali più duri esistenti in natura, poco utilizzabile per applicazioni che richiedono l’uso di materiali ferrosi e a temperature superiori agli 800°C. Per questo, la ricerca è da tempo focalizzata sulla sintesi di materiali duri e superduri utilizzabili per una serie di applicazioni, dagli utensili da taglio e levigatura alla protezione di componenti dei motori e di turbine operanti alle alte temperature. Ce ne parla Silvia Maria Deambrosis dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia del Consiglio nazionale delle ricerche

Pubblicato il

I materiali cosiddetti duri e superduri sono studiati fin dai primi anni ’70 per la loro elevata resistenza all’usura, caratteristiche fondamentali per gli utensili da taglio e levigatura e per tutte quelle applicazioni che richiedono la protezione da agenti chimici e da condizioni fisiche estreme come le alte temperature e gli ambienti fortemente ossidanti. Meno dello 0,1% dei materiali attualmente noti possiede un comportamento superduro, cioè possiede valori di durezza Vickers (Hv)>40 GPa (Gigapascal) (circa 9.5 su scala Mohs). Solitamente a tale proprietà ne sono associate altre, come elevata temperatura di fusione e inerzia chimica, elevate conducibilità termica e resistenza alla compressione e al taglio. Il diamante naturale è il materiale più duro conosciuto, con Hv compresa fra 70 e 150 GPa, mentre il nitruro di boro cubico (cBN) ha HV di 60 GPa, struttura cristallina simile al diamante e diverse fasi contenenti boro, carbonio e azoto, alcune previste solo a livello teorico.

“I materiali duri e superduri sono generalmente costituiti da atomi leggeri come boro, carbonio, azoto e/ossigento che tendono a formare legami corti, come nel caso del cBN, secondo solo al diamante come durezza”, spiega Silvia Maria Deambrosis dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia (Icmate) del Cnr di Padova. “Una via alternativa consiste nell’includere elementi pesanti della Tavola periodica con elevato numero di coordinazione come, ad esempio, il tungsteno o il molibdeno”.

Perché allora non usare il diamante, disponibile in natura e ottenibile anche per via sintetica? Le applicazioni industriali del diamante sono limitate dalla reattività con il ferro, che lo rende inadatto per tagliare acciai e altri materiali ferrosi, e dalla scarsa resistenza termica alle alte temperature, dovuta alla sua conversione in grafite, che ne limita l’uso come super-abrasivo. La durezza, dunque, è una condizione necessaria ma non sufficiente per definire l’applicabilità del materiale. “La durezza si riferisce alla resistenza opposta da un materiale alla deformazione plastica generata dall’azione di un penetratore o incisore”, continua la ricercatrice. “Esistono diverse tecniche per valutarla: generalmente un piccolo penetratore viene premuto sulla superficie in modalità controllata e dalla profondità o dalla dimensione dell’impronta ottenuta si stima il valore. Le prove di durezza sono semplici e poco costose, non distruttive e permettono di dedurre altre proprietà meccaniche del materiale. Ad esempio, il carico di rottura dell'acciaio può essere ricavato con ottima approssimazione da una misura di durezza. La resistenza all’usura, invece, definisce la capacità di un materiale di contrastare la forza di attrito. Nell’usura vi sono più sollecitazioni che agiscono contemporaneamente, in particolare compressione, trazione e taglio, che si manifestano tra due superfici a contatto.

Una strategia per migliorare la resistenza all’usura e al degrado di un materiale convenzionale è modificarne direttamente la superficie depositando un film protettivo. “Tali rivestimenti hanno tipicamente lo spessore dell’ordine di un millesimo di millimetro, circa uno/due centesimi dello spessore di un capello come nel caso degli utensili o di componenti automotive. Inoltre, possono essere a singolo strato, caratterizzati da diverse composizioni o avere architetture muti-layer più o meno complesse”, aggiunge Deambrosis.

Turbina

Il diamante stesso può essere depositato come film sottile su diversi substrati a partire da una miscela di idrocarburi - solitamente metano e idrogeno - ad elevate temperature e basse pressioni attraverso il processo di deposizione chimica da fase vapore (Cvd). Il risultato non è visivamente scenico come per le gemme e il processo di produzione è ancora molto costoso.

Fondamentale è valutare l’adesione tra il rivestimento e la superficie, che deve essere garantita per tutta la vita operativa attraverso l’opportuna scelta dei materiali da accoppiare, la preparazione della superficie e la modalità di crescita del rivestimento. I rivestimenti a base di nitruro di titanio (TiN) sono sfruttati da decenni per gli utensili da taglio. Nonostante questo, la ricerca scientifica sul campo è in continua evoluzione, sia per quanto riguarda le tecniche di deposizione dei film che per il miglioramento o la modulazione delle loro proprietà funzionali in base alle applicazioni richieste. Tra le diverse tecnologie utilizzate per la deposizione di rivestimenti protettivi duri il magnetron sputtering è "un metodo di deposizione fisica da vapore (Pvd) che sfrutta il fenomeno dello sputtering, ovvero l'espulsione di materiale da un ‘target’ in conseguenza di un bombardamento con ioni energetici provenienti da un plasma. Possiamo immaginare tali ioni come piccoli meteoriti che vanno a impattare contro la superficie del target portando alla vaporizzazione dei suoi atomi, che si depositano sulla superficie di un substrato, formando un film”, conclude l’esperta. “L’High Power Impulse Magnetron Sputtering (HiPIMS) unisce la tecnologia del magnetron sputtering a quella delle pulsazioni ad alta potenza, con un elevato grado di ionizzazione del materiale evaporato che permette di ottimizzare durezza, densità e resistenza all'usura dei rivestimenti prodotti. L’HiPIMS è impiegata anche per il pretrattamento del substrato in modo da migliorare l’adesione dei rivestimenti. Importanti esempi applicativi sono i rivestimenti a base di nitruro di molibdeno (MoN) su componenti automotive, come i pistoni impiegati nei motori, i film a base di nitruri ternari di alluminio e titanio (AlTiN) resistenti agli shock termici per palettature di turbine operanti in condizioni ossidative a elevate temperature, i rivestimenti a base di tungsteno e tungsteno/tantalio (WTa) per le camere dei reattori impiegati nel settore fusion, i rivestimenti a base di boruro di titanio (TiB2) per utensili da taglio a elevata velocità. Si tratta di materiali in grado di combinare l’elevata durezza e resistenza all’usura, con un buon comportamento allo shock termico e ad ambienti chimicamente aggressivi”.

Fonte: Silvia Maria Deambrosis, Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia, e-mail: silviamaria.deambrosis@cnr.it

Tematiche
Argomenti