La rotta dei pianeti e la poesia
Luciano Celi dell'Istituto dei processi chimico-fisici ricorda la figura di Giovanni Dondi. A questo fine meccanico, astronomo, medico e poeta del ’300, il moto retrogrado dei pianeti, che dapprima vanno in una direzione, e poi la invertono procedendo in direzione opposta, ha ispirato rime leggibili sia per un verso che al contrario
Uno degli spettacoli che da sempre affascinano l’umanità intera è la visione della volta celeste. La suggestione è stata tale e tanta che in alcune visioni cosmologiche si arrivò a pensare che la divinità la notte stendesse un telo scuro, bucherellato, da cui filtrasse l’immensità della luce che stava oltre quel lenzuolo nero: le stelle. Il cielo delle stelle fisse a sua volta però si muoveva, ma soprattutto si muovevano anche alcuni pianeti conosciuti sin dai tempi antichi, descrivendo strane traiettorie.
Se infatti gli astri a noi più visibili – il Sole e la Luna – si muovono in un’unica direzione che va dall’alba al tramonto, non è così per tutti: pianeti come Venere, Mercurio e Saturno descrivono nella volta celeste moti che vanno in una certa direzione, rallentano, sembrano fermarsi e procedere nella direzione opposta per poi riprendere il cammino iniziale. Questo comportamento - oggi noto come moto retrogrado apparente - fino a prima della rivoluzione copernicana, attuata da Galileo, non solo aveva complicato la vita di Tolomeo (che, tenendo la Terra al centro, per spiegare il fenomeno aveva riempito il cosmo di epicicli), ma anche quella del padovano Giovanni Dondi ab horolojo (1330-1388). L’appellativo gli valse a seguito dei 16 anni impiegati per la costruzione di un orologio astronomico, chiamato Astrarium.
L’autore - uomo di scienza e umanista che ha insegnato medicina, filosofia, matematica e astronomia nelle università di Padova e Pavia - si cimentò nell’impresa affinché “potessero essere visti dall'occhio tutti i movimenti secondo la longitudine che gli astronomi assegnano ai pianeti, con i loro cerchi e le loro periodicità, dove possano essere indicate quelle numerose particolarità che i saggi insegnano e che l'esperienza mostra, dove si possa anche avere, ad ogni istante, senza alcun calcolo fastidioso, le posizioni di tutti i pianeti, i loro argomenti veri e medi, i loro centri medi, le loro auge e le altre coordinate, come se si fosse operato con le tavole, per quel medesimo istante, e tutto questo con una differenza infinitesima o, se ce n'è una, pressoché trascurabile” (Johannis de Dondis, Astrarium 1989, fac-simile del manoscritto di Padova e traduzione francese di E. Poulle, 1+1 Padova, Les Belles Lettres-Paris 1987).
Tractatus astrarii
Nobilissimo scopo che impegnò non poco il Dondi: fedele alla tradizione del moto retrogrado descritto nella teoria tolemaica, egli si cimentò anche nel rendere meccanicamente possibile la visione del moto retrogrado apparente dei pianeti e dovette inventarsi un congegno costituito da due ruote eccentriche di forma ellittica leggermente ovata, di cui una è fissa e l’altra è sostenuta da un congegno speciale. La ruota mobile, girando intorno all’altra, deve dunque avvicinare o allontanare il proprio centro da quello della ruota fissa. Insomma, un piccolo capolavoro di meccanica di precisione, per rendere conto di questa bizzarria planetaria.
Se la storia dell’Astrarium è affascinante, non lo è meno il suo risvolto, per così dire, letterario. Siamo in presenza di figure prerinascimentali, capaci di raccogliere in sé tutti gli aspetti tipici degli uomini di genio che in quei secoli costellavano la nostra Penisola - fino al culmine di Leonardo Da Vinci, che pare ebbe modo di vedere l’orologio del Dondi al Castello Sforzesco a Milano. Dondi infatti, tra le altre cose, corrispondeva con uno dei sommi poeti della lingua italiana: Francesco Petrarca. La cosa non stupisce, così come non stupisce che un fenomeno tanto “potente” come questo del moto retrogrado, avesse una sua analogia tutta terrena proprio nella poesia.
Dondi si cimenta quindi in rime e sonetti dedicandone uno al suo mentore Bartolomeo (da) Campo (questi partecipò all’affidamento dell’insegnamento di logica al Dondi), numerato come XX: Manda-vi rime de ritrosa forma, insomma rime che, seguendo la sillabazione, possono essere lette per un verso (“Manda–vi rime de ritrosa forma”, appunto) o al contrario (“Forma ritrosa de rime vi manda”).
Solo il Basso Medioevo poteva essere il tempo in cui la nozione di inversione poteva emergere in campi tanto diversi come l’astronomia, la meccanica legata all’orologeria e la poesia.
Fonte: Luciano Celi, Area della ricerca di Pisa , e-mail: luciano.celi@cnr.it