Focus: Sole

La scienza? Un affare di Stato

Statua del re Sole
di Alessandro Frandi

Tra 17° e 18° secolo la Francia di Luigi XIV, il Re Sole, divenne la maggiore potenza europea. Le grandi ambizioni di questo monarca furono di costruire un paese fortemente unito sotto il controllo della corona e di ricondurre l'Europa intera sotto la sua egemonia. Ne abbiamo parlato con Alberto Guasco dell'Istituto di storia dell'Europa mediterranea del Cnr

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La Francia di Luigi XIV (1638-1715), è comunemente considerata la massima espressione del periodo che conosciamo come “età dell’assolutismo”. Là dove il re, che in questo caso governa per oltre 72 anni, dal 1643 alla morte, più che un uomo, o il rappresentante d’una dinastia, è un’incarnazione. E non tanto di Dio (di cui pure è “luogotenente”) ma dello Stato. La sua affermazione - anzi, l’affermazione che di solito gli viene messa in bocca -“l’état c’est moi”, lo Stato sono io, spiega alla perfezione questa fusione tra il vertice istituzionale e l’identità individuale. Figlio di Luigi XIII e di Anna d'Austria, incoronato dal 1643, il Re Sole rimase però sotto la tutela della madre e del cardinale Mazzarino sino alla morte di quest'ultimo (1661).

"Il potere di quest’uomo si esprime, anzi, si auto-rappresenta proprio tramite una cosmogonia: Luigi XIV sceglie quale simbolo personale il sole, cioè la stella che irraggiando la propria luce dona vita a ogni cosa, la stella intorno alla quale tutto gira, a partire dalla corte. D’altronde, questo testimonia e questo è la reggia di Versailles voluta dal re: un cosmo privilegiato dove nobili e cortigiani orbitano intorno al monarca, dal momento in cui si sveglia fino alle ore piccole", spiega lo storico Alberto Guasco dell'Istituto di storia dell'Europa mediterranea (Isem) del Cnr. "Se questo è il rapporto che regola le relazioni tra il re e la corte, lo stesso o quasi si può dire per le lettere, le arti e le scienze, tutte legate a triplo filo al proprio mecenate, il monarca stesso, tutte libere di esprimersi e tutte obbligate a celebrarne la gloria e a ricercarne gli interessi. Non è un mistero che il primo ministro di Luigi XIV, Jean Baptiste-Colbert (e altri dopo di lui) si sforzi di attrarre a Parigi i migliori talenti del tempo, sottraendoli alla concorrenza, pagandoli profumatamente e mettendoli nelle condizioni di cooperare alla gloria del re e al bene della Francia".

Il luogo per eccellenza di questo rapporto tra potere e scienza sono le Accademie. "Se altri stati si sono già dotati delle proprie - si pensi solo alla Royal Society inglese, fondata nel 1662 - anche la Francia fa la stessa cosa. È così che, durante il regno di Luigi XIV, nascono accademie di lettere, d’architettura, di musica e, nel 1666, l’Accademia delle scienze, voluta dallo stesso Colbert", conclude il ricercatore. "In questo senso, il progetto alle spalle della sua fondazione è esplicito: se per alcuni la frequentazione dei gabinetti scientifici è una specie di hobby alla moda, per il potere politico si tratta di affari di stato. In altre parole, stipendiando il lavoro dei matematici, degli astronomi o dei geografi, lo stato si dota di una propria politica scientifica, che di suo detta i tempi del progresso tecnico e, dunque, della modernizzazione dello Stato stesso. In sintesi, la scienza si professionalizza grazie allo Stato e contribuisce ai fini che esso persegue. È in questo contesto che vivono e lavorano - per fare solo un paio di nomi - un matematico come l’olandese Christiaan Huygens e una figura, anch’essa poliedrica, come Giovanni Domenico Cassini, direttore dell’Osservatorio di Parigi. Ovvero, di quella istituzione che il monarca e i suoi fiduciari ritengono un grande laboratorio tecnico-scientifico posto al completo servizio del regno".

Fonte: Alberto Guasco, Istituto di storia dell'Europa mediterranea, e-mail: alberto.guasco@cnr.it

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