Gli algoritmi di Wells
Le ipotesi dello scrittore di fantascienza su un cervello globale a disposizione di tutti gli esseri umani sembrano anticipare l'Intelligenza artificiale e i big data dei nostri giorni. Una conquista ormai reale, i cui possibili sviluppi suscitano spavento in molti, ma che Fabrizio Falchi dell'Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione ci invita a considerare senza paura
Tecnologia e ricerca scientifica viaggiano su binari paralleli, uno è propulsore di progresso, l'altro contiene le paure, a volte lecite, che ogni novità porta in seno. Sono i rischi emblematici, già colti in passato da uno dei più lungimiranti scrittori di fantascienza l'inglese Herbert George Wells (1866-1946), che in merito alle conseguenze determinabili dalle novità del suo secolo, parlava di “fantasie di possibilità”. Sorprendono le sue riflessioni in cui richiama la necessità di unificare ogni idea, forma di pensiero, scelta compiuta dall'uomo, nei vari campi del sapere, in un unicum che fosse a disposizione di tutti e che definì “cervello mondiale”. Un world brain che oggi suona simile all'Intelligenza artificiale (Ia). Quanto annunciato dallo scrittore si può affermare che si stia realmente realizzando. Dalla costruzione di quella biblioteca mondiale, di cui Google Library o Wikipedia sono l'esempio minore rispetto al Web e che costituiscono il momento preparatorio di raccolta di grandi dati, siamo giunti alla realizzazione di un super computer dotato di Intelligenza artificiale, che quei dati è in grado di utilizzare e interconnettere. Gli esperti si chiedono se ciò costituisca un bene o un male. Nell'ottica di Wells “mente planetaria ed enciclopedia del sapere”, come spiegò lui stesso in una conferenza alla Royal Institution britannica, dovrebbero essere “a disposizione del genere umano”. Oggi alcuni colossi come Google, Amazon, Facebook, Microsoft, stanno investendo miliardi di dollari nel pensiero sintetico. C'è chi profetizza che lo sviluppo degli algoritmi nel giro di pochi anni possa portare al pensiero autonomo dell'Intelligenza artificiale.
La ricerca nel campo dell'Ia ha subito un'accelerazione soprattutto grazie ai progressi compiuti sugli algoritmi, a una più ampia disponibilità di dati e a computer in grado di analizzarli. “Come dimostrato dal premio Nobel Danie Kahneman, il pensiero umano può essere ricondotto a due principali categorie: il ragionamento veloce e quello lento”, spiega Fabrizio Falchi dell'Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione (Isti) del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa. “Il primo è quello intuitivo, frequente, emozionale, sterotipale e inconscio; il secondo quello riflessivo, logico, calcolatorio. I progressi recenti dell'Ia derivano dal successo ottenuto nel realizzare il pensiero artificiale veloce, specialmente nel campo della visione artificiale, attraverso l'uso di metodi di deep learning (o apprendimento profondo, campo di ricerca dell'apprendimento automatico basato su reti neuronali). Siamo lontani però dall'avere un'Ia generale e, quindi, non specifica per un particolare compito, che comprenda i due sistemi e che li faccia collaborare. Un esempio ottimo di collaborazione fra i due tipi di Ia è stato AlphaGo, un software che utilizza un'Intelligenza artificiale che per battere il cervello umano di un campione al gioco del Go ha fatto ricorso proprio all'intuizione, ma lo si è applicato solo all'interno di un preciso e definito gioco. Dai prossimi anni possiamo attenderci macchine con capacità percettive (visione e parlato principalmente) sempre più elevate, in grado quindi di interagire con l'uomo e con la realtà che lo circonda. Questo non vuol dire, però, che avremo anche macchine intelligenti in senso generale. L'Intelligenza è molto più complessa e variegata di quello che tendiamo a credere”.
Il passaggio che ha portato i computer nel giro di pochi anni dalla pura logica a una forma di ragionamento più intelligente è ciò che li avvicina all'uomo. In futuro forse dialogheremo col Pc per chiedergli di costruirci qualcosa, saremo probabilmente più liberi di pensare, ci limiteremo al confronto con le varie opzioni trovate dalle macchine all'interno del grande calderone contenente tutto lo scibile, proprio come profetizzato dallo scrittore inglese un secolo fa. Dopo l'era delle costruzioni, passeremo a quella delle connessioni. Per secoli siamo stati abituati a costruirci da soli qualsiasi strumento, presto ci sarà chi lo costruirà per noi, collegandolo a un sistema complesso, in cui saremo aggregati e autonomi, liberi per esempio dalla guida dell'auto o dal lavoro tradizionalmente inteso. Tecnologia, natura e umanità è il futuro che ci attende. Una società sempre più implementata, in cui intuizioni ed esperienza si interfaccino con le Ia, con conseguente abbattimento di tempi e costi di realizzazione/produzione di qualsiasi bene utilizzabile. Questa sorta di sistema nervoso centrale planetario, che riceve tutte le informazioni, è l'ultima tessera mancante per la connessione tra tutte le cose che pensiamo, utilizziamo, costruiamo. Si tratta del cervello mondiale ipotizzato da Wells, che nel romanzo 'Tono-Bungay' (1909), oggi ristampato da Fazi col titolo 'Il rimedio miracoloso', avanza alcune critiche al progresso di quel primo scorcio di secolo, chiedendosi se non sia illusorio, simile a una pozione miracolosa, un tonico per l'appunto (dall'improbabile nome che dava il titolo alla prima edizione) dall'effetto placebo. Sul banco degli imputati è la faciloneria con cui si può creare successo partendo dal nulla, che rende quanto mai attuale la vicenda dei protagonisti del libro. Un invito a rimanere vigili, che vale anche oggi, quando con le nostre scelte compiute in Rete, con le App, le foto postate, i commenti, gli acquisti, gli spostamenti tracciati con le mappe, senza accorgercene siamo già diventati parte di un algoritmo, di un cervello mondiale non più allegoria del progresso ma del reale, uno spazio in cui l'uomo, per dirla con Wells, “è diventato un nuovo animale incredibilmente rapido e forte, tranne che nella sua testa”. Falchi, però, ci rassicura sui reali rischi: “Ritengo che la paura diffusa verso l'Ia sia in gran parte immotivata. Non è ancora così potente e non ha dimostrato ancora di essere così pericolosa. Rispetto a problemi quali i cambiamenti climatici e l'inquinamento corriamo sicuramente meno rischi. Non riusciamo a sopportare l'idea che un'Ia sbagli decisioni importanti, ma questo accade comunemente per tante persone in posti dirigenziali importanti senza che si generino disastri. Dovremo limitare l'Intelligenza artificiale come faremmo con una persona, sapendo che può sbagliare, ma sfruttandone appieno le capacità”.
Fonte: Fabrizio Falchi, Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione "Alessandro Faedo", Pisa, email fabrizio.falchi@isti.cnr.it